Hermosillo si trova nel deserto.
Se state pensando alle dune e ai cammelli ecco, non quello. Parlo del deserto dove è tutto secco, dove non ci sono alberi né verde, ma solo sole che picchia forte per 12 mesi all’anno e che non lascia spazio alla pioggia nemmeno per pochi istanti. Parlo della terra spaccata dall’aridità, di distese immense di cactus che come guardiani custodiscono gelosamente l’immobilità del tutto. Parlo di avvoltoi nel cielo.
Il nostro centro educativo si trova in questo deserto.
Situato in un quartiere di recente formazione sembra essere il migliore esempio dell’immobilità di cui sopra. Nato come agglomerato urbano abusivo, negli anni è rimasto sacca di povertà in una città che cresce, cambia e si arricchisce. Tutt’attorno le cose sono migliorate, chi aveva una casa in lamiera è riuscito a costruirsi un pezzetto di muro in mattoni, in cinque anni una nuova stanza, in dieci anni i figli a scuola e un lavoro.
Mentre qui tutto è rimasto così com’era. Case precarie, che prendono fuoco e in cui ci si ustiona.
I nostri bambini sono figli di questo deserto.
La pelle scaldata dal sole onnipresente, i pantaloni perennemente impolverati e sul corpo bruciature di ogni genere.
In questo deserto sono arrivata come un temporale, fuori luogo, con troppi progetti e poca visione della realtà. E alle volte ho fallito.
Sono stata catapultata in una realtà di cui ignoravo regole e pericoli. Con il tempo sono diventata amica, confidente, per qualcuno sostegno e forse una maestra troppo accondiscendente per essere credibile. Eppure sta funzionando. Ci capiamo, ci raccontiamo e se proprio devono…mi ascoltano.
Nonostante la confidenza e la fiducia uno dei miei primi esperimenti ha fallito miseramente. Ho provato a creare con loro qualcosa di nuovo, un laboratorio di scrittura creativa (che follia)! Non immaginatevi niente di complicato: cose semplici, basilari, alla portata di un bambino di dieci anni. Ho chiesto loro in diverse lezioni e attraverso vari strumenti di raccontare sogni, pensieri, aspirazioni attraverso racconti, piccoli temi e giochi di parole. Volevo trovare a tutti i costi un mezzo con cui potessero per un attimo usare la fantasia e l’immaginazione e volare lontano dal deserto.
E mi sono scontrata con la più grande delusione: dopo qualche timido tentativo si sono chiusi a riccio, “Maestra non lo so fare”. Ma quello che non riuscivano a fare non era rispettare la consegna, il problema stava ancora di più alla radice. Non sono riusciti ad immaginare, a creare, a spaziare…
Dopo qualche settimana mi hanno chiesto di fare moltiplicazioni nel tempo che rimaneva dopo aver finito i compiti per casa, più semplice, automatico, non serve pensare ma solo fare calcoli già noti. E poi di corsa a giocare a calcio appena suona la campana.
Ho sempre creduto che i bambini fossero per natura curiosi, sognatori. Mi risultava impossibile credere che questi bambini non lo fossero. Forse dire che non ne siano capaci è scorretto e ingiusto, quasi sicuramente non sono mai stati abituati ad esserlo.
Sono stati cresciuti in un contesto di rassegnazione ed impotenza, a loro non è concesso immaginare una realtà diversa da quella che hanno davanti agli occhi quotidianamente.
In questo deserto, i loro genitori gli hanno cresciuti con una aridità di affetto e fiducia. E la povertà più grande di cui sono vittime è di natura valoriale e non economica: sono insicuri, sono arrabbiati, sono smarriti. Nessuno ha mai creduto in loro ne tantomeno nessuno si è mai premurato di chiedere loro “cosa vuoi fare da grande”. L’unica cosa che gli si chiede e che si comportino sufficientemente bene per non farsi cacciare da scuola, che imparino il minimo indispensabile per finire le elementari e poi alle medie chissà…qualcuno laverà vetri ai semafori come Francisco, i più fortunati finiranno la scuola media, e poi? Il deserto li attende.
A questi bambini è stato tolto il diritto fondamentale, quello di poter sognare.
E quando inizi a demoralizzarti, qualche fiorellino sbuca dalla terra secca, piccoli gesti, qualche parolina, qualche riga sgrammaticata….e si continua a sperare. Non so quanti di loro andranno alle superiori o ancor meno all’università, non so quanti di loro potranno davvero avere una vita migliore di quella dei loro padri. L’unica cosa che mi auguro per loro, dal più piccolo al più grande è che riescano prima o poi credere in qualcosa.
Se riuscissi ad essere anche solo una pioggerellina breve e leggera in questo deserto…