I ladri di Biciclette e i tanti altri piccoli Bruno

In una Roma popolare e proletaria del secondo dopoguerra, impregnanta di povertà e disoccupazione, un gruppo di uomini si accalca sulle scale di un edificio (forse un ufficio di collocamento), reclamando un posto di lavoro. Fra tanti, Antonio Ricci riesce ad ottenere un ottimo impiego come attacchino comunale. Tuttavia non riesce a gioirne: è indispensabile una bicicletta con la quale muoversi in città, e Antonio l’ha impegnata al monte della pietà per sfamare la propria famiglia. L’atteggiamento di auto commiserazione dell’uomo, che l’accompagnerà di fronte a tutte le vicende, traspare immediatamente. Sta alla moglie Maria prendere in mano la situazione, vendendo le lenzuola, per poter così riscattare la bicicletta. Nonostante tutto, proprio il primo giorno di lavoro dell’uomo, un ladruncolo gli ruba il mezzo. È l’inizio di un’avventura durante la quale Antonio, e il piccolo figlio Bruno, percorrono la città di Roma alla ricerca della fantomatica bicicletta.

-Bruno-

Bruno ha 8 anni, e lavora per 12 ore al giorno come benzinaio. Ha già nel viso e negli atteggiamenti le sfumature dell’ uomo adulto. È un bambino cresciuto troppo in fretta, per il quale il dovere ha presto preso il posto del gioco. Con disinvoltura Bruno si muove agile nel mondo degli adulti, osservandolo dalla posizione di chi occupa il posto più basso della società. Ma lo sguardo non è rassegnato: Bruno ha la dignità di chi al mondo –ai padri- guarda chiedendo responsabilità, criticando, valutando, suggerendo, partecipando e confortando.

Nell’intrecciarsi delle vicende che accompagnano la ricerca della bicicletta, e che corrono in parallelo con un crescendo di solitudini, miserie, ipocrisie ed impotenze, Bruno si fa testimone di una generazione –quella del padre- debole, non in grado di dare alcuna risposta a nessun livello. Affronta situazioni che sintetizzano l’inefficacia e l’impotenza degli adulti e del mondo attorno a lui. A partire dalle forze dell’ordine e dal loro disinteresse di fronte ad una questione ingiusta e banale; all’amico politico del padre che con sicurezza e “sbruffoneria” propone una facile soluzione, rivelatasi fallimentare; al gruppo dei “mariuoli del quartiere” che rafforzano l’idea per la quale l’unica strada che un “poveraccio” possa intraprendere per vivere, siano i furti e le furberie; sino all’incapacità di un padre di prender cura dei propri figli, far valere se stesso e i propri diritti, arreso ad un destino che sente meschino.

Ma Bruno non si limita a guardare, prende sì atto della sua situazione, ma non si crogiola nell’idea di un destino crudele, bensì propone una sua versione della vita. Nel corso della pellicola Bruno cresce sino a diventare padre del proprio padre, il suo seguirlo come un’ombra si traduce nel prendersi cura di lui. Lo sprona, lo incita, lo sgrida e lo salva, ed infine lo consola.

Bruno è un bambino dell’immediato secondo dopo guerra italiano, ma può rappresentare anche altri bambini, di altri dopo guerra. Le sfide si somigliano. Alle spalle uno strato sociale annientato da anni di dittatura, dalla guerra, dalle violenze. Generazioni che hanno assistito impotenti alla sottrazione di ogni singolo diritto, private delle loro voci. Sono adulti smarriti, immobili. Conoscono bene il duro lavoro, sanno di essere in credito, chiedono e pretendono dalle istituzioni (o chi per loro), ma ignorano la possibilità di essere protagonisti della propria storia. La sfida dei tanti piccoli Bruno, oggi come allora, è quella di poter fare la differenza, di poter essere costruttori attivi della propria società, del proprio presente e del proprio futuro, plasmando creativamente la storia.

Eugenia Agostino  

Virginia Venneri

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