KARIBUNI TANZANIA

Mambo, Poa”; “Karibu, Asante”; “Habari, Nzuri” e così via finché la mia conoscenza dello swahili, ancora scarsa, mi impedisce di continuare questo grandioso banchetto di saluti e riverenze.

Ogni persona che incontro, ogni bambino che incrocia il mio sguardo, ogni venditore a cui porgo una domanda, ogni donna che cammina svogliata per la strada sabbiosa, tutti qui in Tanzania rivolgono allo straniero “mzungo” un caloroso benvenuto.

Me l’avevano detto dall’Italia che per i tanzaniani la danza dei saluti è lunga, lenta, importante e così nel bagaglio a mano, sull’aereo, insieme con le carte d’imbarco, il passaporto e gli altri documenti “da legare al collo” ho tenuto come un taccuino “le mie prime parole in swahili” e i suggerimenti per il galateo del volontario in Tanzania.

Ho ricevuto la conferma di selezione per il progetto Children Right fo the Future con il CVM in Tanzania a novembre, mentre ero a lavoro davanti a un computer alienante che ancora di più creava in me la voglia di partecipare ad un programma in cui mi sarei potuta riconoscere moralmente, eticamente, idealmente e praticamente.

Ecco, finalmente, la mia opportunità!

Sono partita da Roma il 9 gennaio. In aeroporto i miei genitori mi hanno salutata certamente felici ed orgogliosi, evidentemente già malinconici e preoccupati, forse increduli di vedermi viceversa così forte e decisa. In realtà, nel mese precedente la partenza il tempo mi è sfuggito dalle mani e non mi ha permesso di capire che di lì a poco la mia vita sarebbe cambiata; solo ora i miei occhi brillano per riempirsi liberamente di quelle lacrime che sarebbero dovute scendere allora, per ringraziarli e dirgli che li avrei attesi a Bagamoyo, che sarebbe diventata di lì a poco la mia città.

Seduta dal lato finestrino ho guardato Roma, così luminosa e bella nelle luci della sera, diventare sempre più piccola, sorvolando il cielo ancora avvolto nell’ombra della notte e nel freddo della stagione invernale, con il ricordo di una giornata trascorsa in montagna, a fotografare la neve che allora mi sembrava ancora più bianca, più pura, più luminosa, sotto i raggi di un sole sereno.
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Ormai ero consapevole – o forse ancora no – che il giorno seguente il mio cielo sarebbe stato un altro, sulla linea dell’equatore, ricoperto da stelle per lo più sconosciute.

Mi aspetta odore di esotico e di spezie, il colore dell’Africa conosciuta e vista per la maggior parte attraverso letture e documentari che abbelliscono o straziano la realtà a seconda del messaggio che vogliono inviare. Ora ho la possibilità di guardare con i miei occhi, di immergermi nei retroscena, di ascoltare da grosse labbra la loro verità, di scovarla attraverso gli sguardi intensi di occhi neri e profondi di bambini, donne, giovani, uomini, anziani, che camminano a piedi nudi su una terra che scotta ma che non li brucia.

Finalmente – dopo il cambio nell’aeroporto di Addis Abeba – calpesto terra africana.
Sono a Dar es Salam e immediatamente mi manca l’aria, troppo densa e afosa per me, che indosso ancora vestiti invernali.

Ad attendermi Stanley e Perfect, dello staff CVM/Tanzania, con in mano un cartello con il mio nome. Un sorriso, una stretta di mano e subito: “Mambo” “karibu Tanzania” “Habari “.
Nonostante il mio prontuario di swahili ho imparato da loro che a queste domande si risponde rispettivamente “Poa” “Asante” “Nzuri”. “Ciao, come va?! Benvenuta in Tanzania. Ciao, tutto bene, grazie!”

Perché qui, nonostante tutto, se domandi come va, ti risponderanno sempre “Poa Poa”: TUTTO BENE!”, mostrando un altruistico sorriso color avorio mentre ancora una volta ti augurano un felice “karibuni Tanzania“!.

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