”Natale in Chiapas” potrebbe forse essere il titolo di un improbabile cinepanettone. Di certo è il titolo di una esperienza in cui partendo da un progetto di cooperazione in un paese sconosciuto ne arriva una personale e proficua fonte di acculturazione.
Il Natale arriva anche in Messico, dove nel presepe uno dei Magi cavalca un elefante (spesso a fianco di un sproporzionato Babbo Natale) e nelle piazze principali (anche con 40°) si pattina sul ghiaccio artificiale o – come nel caso della nostra Aguascalientes – ci si mette in posa davanti l’enorme albero di Natale della Coca-Cola. Per fortuna si rompe ancora l’immancabile piñata.
Piaccia o no al volontario di turno, il mondo è globale. Né il suo ruolo è quello di farsi portatore del verbo dell’alternativa. In un Paese grande come il Messico ci sono poi realtà a volte radicalmente diverse tra loro. Davanti a queste il volontario proveniente dal primo mondo occidentale e industriale ha l’occasione di fermarsi a pensare, magari riflettere, su quale possa davvero essere l’alternativa da costruire.
L’alternativa in cui ci siamo imbattuti, non proprio per caso, viene dal Chapas, lì dove da 30 anni le comunità zapatiste vivono una diversa visione del mondo e della cittadinanza. Un’alternativa che costa fatica e a volte sangue, sudore e fango tra le mani, i capelli e i denti. La si vive nel proprio quotidiano. Non ha vacanze o momenti di riposo.
Io posso prendermi il lusso di viverla per un giorno soltanto, o meglio per un’oretta, dopo parecchi km di curve tra le nebbie della selva e l’attesa ai cancelli prima di ottenere il permesso.
Camminiamo brevemente in mezzo a questa comunità ribelle, dove lo Stato non ha potere ma il singolo è parte di un vero Leviatano, accompagnati da uno zapatista laconico e dal viso coperto.
Ascoltiamo poi cantare – da una sala cui ci è negato l’ingresso – la musica e le parole di ‘Bella ciao’: mondi e tempi lontani, alcune perplessità e ombre forse comuni, di certo stesso fervore e stessa tenacia nel vedere all’orizzonte l’alternativa.
Sempre l’utopia ci precede, di due passi almeno. Basta non dimenticare che l’orizzonte esiste, anche quando guardiamo da un’altra parte.