Oltre la barriera

Lui era lì di fronte a me ed io fingevo di non vederlo.
Sono passati pochi giorni da quando ho varcato per la prima volta la soglia del carcere minorile di Lima. Molte cose sono cambiate.

Lui m’aspettava. Lo sguararticolo2do insistente non mi dava tregua.
Lui avanzava ed io retrocedevo impercettibilmente. Barcollavo diffidente. Speravo di cavarmela arrabattando qualche impacciato cenno d’intesa. Tutto vano. Aveva sbugiardato presto la mia pretesa di ostentato compiacimento. Pochi secondi e perdevo la maschera, mentre la sua giaceva inscalfibile. Giocavo in difesa; volevo le mie regole dove, queste, non sono riconosciute.
Mi muovevo a tentoni. Indugiavo. Ogni parola misurata. Ogni movimento controllato e lontano ogni barlume per uscire dallo stallo. Brancolavo nel buio alla ricerca dell’interruttore.

Lui ha acceso la luce. Mi ha teso la mano e abbiamo scordato la soggezione. Si è presentato e sbadato non ricordo nessuno dei suoi tanti nomi.
Racconta di sé e fa molte domande. Assieme all’imbarazzo crollano anche le ottuse sbarre che stanno dentro la mia testa.

Lui è un tipo determinato, le sue parole sono chiare. Ha un obiettivo preciso. Io molti, disarticolati e non ben definiti. Diversi i nostri caratteri, le nostre storie. Lui additato, io col dito puntato. Diametralmente opposte le ragioni che ci hanno fatto incontrare. Esercizio di libertà il mio. Di privazione il suo. Io buono. Lui cattivo. Direbbe il giudizio avventato. Invece la complessità ci impone pazienza.

Lui ha riconosciuto le sue colpe. Io realizzo ora le mie. Mentre lui si ribellava per vivere io obbedivo mansueto. Lo sfiorava la morte ed io proclamavo inutili rivoluzioni dialettiche. Lui ci provava ed io mi nascondevo dietro ad una cortina di nostalgia.
Fa male ammetterlo. Lui è il progressista ed io il reazionario.
La poltrona da cui m’illudevo del contrario, d’ora in poi, non sarà più tanto comoda.

Lui è stato condannato. Un altro anno e terminerà la sua pena. La stessa durata del progetto che mi ha portato qui. Di nuovo premesse agli antipodi. Il mio, un programma educativo, formativo. Il suo ri-formativo, ri-educativo.
E’ davvero solo lui a dover ri-partire, ri-cominciare? Chi l’ha deciso?
La collettività. Quella che alza muri per chiudersi in sé, che impaurita emargina ciò che non è uniforme, che esclude arroccandosi sui suoi privilegi.
La stessa, che come me, non ha fatto altro che resistere. Mi costa connotare negativamente questo termine. Malgrado ciò, non mi voglio più ingannare, tantomeno deluderlo.

Lui è il cambiamento e lo lascerò entrare.
Sfumeremo il passato e condivideremo il presente. Non ripeteremo, non reitereremo. Rivolteremo le priorità. Tempo ne abbiamo.
Un anno per sognare, immaginare e disegnare l’avvenire. Senza attenuanti e ricco di prime volte. Per riflettere e agire. Con la primavera in fiore e l’autunno caldo. Per schiodarci e illuminare il sentiero. Con la speranza di scorgere un’alba nel cielo opaco.
Per camminare insieme e, alla fine, salir adelante!

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