Valutazione intermedia – Istantanee dal Kosovo

Intensi e pieni di emozioni contrastanti questi mesi trascorsi in Kosovo. Non è facile tirare le fila di tante impressioni, riflessioni, incontri.

Sono ormai trascorsi quattro mesi da quando sono arrivata qui, atterrata all’aeroporto della capitale, Pristina, in una sera di ottobre, accolta dagli altri volontari in servizio e dalla Coordinatrice Paese per RTM.

La mia prima visione è stata quella di colline immerse nel buio, di strade senza illuminazione, bellissime stelle e qualche tratto di asfalto dissestato :-)

Ho imparato molte cose durante questi mesi su questo paese ma anche su me stessa, su quali sono i miei limiti e le mie potenzialità, su quello che mi viene bene e quello che mi viene un po’ meno bene…ho avuto molto tempo per riflettere vivendo in una zona rurale, in cui gli svaghi sono limitati.

Dal treno Klina-Peja

Ho sentito molte volte parlare in differenti contesti, nel corso della mia formazione universitaria, in conferenze e meeting, sui mass-media, in documenti di progetto e dichiarazioni di organizzazioni internazionali di dialogo interculturale, interculturalità, scambi culturali. A volte l’incontro tra culture viene presentato in modo folkloristico, con l’accento sulle peculiarità dell’ “altro”, sulle sue tradizioni, siano esse culinarie, musicali o relazionali.

Quando l’“altro” l’ho incontrato per davvero, a casa sua, nel suo contesto, la prima reazione che si è innescata in me è stato un cambiamento di prospettiva.

Si parla tanto di progetti di sviluppo, che dato un certo ammontare di risorse, tempo e attori dovrebbe portare ad un cambiamento, ad un’evoluzione del contesto dove l’ “altro” vive. Nella pratica quotidiana però per me la riflessione fondamentale è partita non solo da un’analisi del contesto e dalla valutazione di una cultura ed una mentalità diversa, ma anche da me stessa. Dalle mie origini, dal mio vissuto, perché è proprio in una realtà completamente diversa dalla tua che ti sono più chiari ed evidenti il tuo percorso di vita e le regole della società in cui sei cresciuto, proprio perché noti delle differenze ti accorgi della tua di “identità”.

Ti si rivela in modo straordinariamente lampante perché tu sei in un certo modo, il tessuto di convenzioni sociali/condizionamenti/fattori educativi di cui è fatto il tuo relazionarti. E’ da questo prendere consapevolezza di sé, che influenza tutte le relazioni, familiari, amicali, affettive, lavorative, che è cresciuta in me la base dello scambio.

La mia prima riflessione è che siamo tutti uguali nel nostro essere umani. Per alcuni potrà sembrare banalità, o frutto di un’educazione cattolica. Per me non è niente di tutto questo. La nostra uguaglianza e fratellanza in quanto essere umani non è un dato così scontato in tante società, come quella italiana, che ancora credono che alcuni dei problemi e delle diseguaglianze tra culture e quindi popoli risiedano in un “deficit” dell’ “altro”, quasi come se nel riconoscerlo diverso da noi fosse “meno umano”, quasi qualcuno si divertisse, avesse nel sangue di fare la guerra, di vivere nella miseria perché sfaticato (purtroppo queste sono cose che ancora mi tocca sentire). Ovviamente c’è diversità e certamente molte volte i comportamenti risultano incomprensibili, talvolta frustranti da vivere nel confronto quotidiano, ed è più facile pensare in malafede ad una diversità data da una sorta di “minorazione” dell’altro. Come se la povertà scaturisse dalla pigrizia o se le diseguaglianze di genere rappresentassero solo il retaggio di uomini cattivi e intolleranti.

L’essere umano è animato qui come altrove dagli stessi desideri, dalle stesse nobiltà e/o miserie d’animo. Ed è questo che a mio parere è sempre bene tenere presente nel confronto con qualcuno che non appartiene alla tua stessa cultura.

Il secondo passo è…farne uno indietro, per osservare, ascoltare, percepire, quello che si vive nel confronto, perseguendo il difficile equilibrio tra la voglia di esprimere in modo libero la propria individualità e il non voler entrare in casa d’altri senza prima essersi tolti le scarpe, per usare la metafora di un approccio di rispetto.

Aspettare l’altro più che andargli incontro è fondamentale nel secondo passo di avvicinamento. Aspettare che sia lui/lei a farsi avanti, a scoprirsi e leggere tra le righe.

Sottovalutiamo molto il significato della comunicazione non verbale, del sorriso, delle sfumature di certi sguardi. Oppure lo sopravvalutiamo e ci facciamo subito un’idea nostra, granitica. Entrambe le cose a mio parere sono sbagliate. Ci vuole tempo per capire e alla fine il vero cambiamento avviene prima dentro di noi.

ISTANTANEE DAL KOSOVO

Strade e consigli per l’uso 

Il Kosovo è disseminato di stazioni di servizio…e sono stata informata che ogni benzinaio è “convenzionato” con un motel…in questo sono molto avanti qui! Attenti ai cani di varie taglie e dimensioni che si buttano sotto le macchine…e attenti alle macchine che qualche volta girano a fari spenti di notte…attenti pure ai pedoni che camminano sul ciglio della strada nel buio più assoluto. Manca l’illuminazione stradale in alcuni tratti…ma quanto sono belle le stelle e la luna in questo buio! Carretti trainati da cavalli, trattori che caricano animali o legna. Fiammanti Mrrcedes e Suv con targa tedesca. I parcheggi alla kosovara sul marciapiedi.

Paesaggi

Un bel pomeriggio assolato lungo il tragitto in macchina da Klina a Radac: un paesaggio collinare tinto dai colori cangianti dell’autunno, punteggiato da case non intonacate dai mattoni rossi che creano un forte contrasto con la natura circostante; case non finite con i balconi di calce grigia, senza ringhiere, un filo coi panni stesi che affaccia su verdi prati dove pascolano le mucche; cumuli di immondizia dove scorrono ruscelli. Un cimitero cattolico su una collina, la chiesa che sembra una semplice casetta. I volti dei defunti che non sono foto ma ritratti, dipinti in bianco e nero sul marmo. Tumuli senza nome. Una decorazione natalizia lasciata tra le pietrine di una lapide. La foschia sulle colline oppure non è foschia, sei a Pristina ed è la centrale a carbone. Città dove svettano i campanili delle cattedrali cattoliche, i pinnacoli delle moschee e le cupole delle chiese ortodosse.

Prizren in notturna

Panorama dall’ufficio

Lapidi di marmo e granito in mostra al ciglio della strada, l’AutoLarje (autolavaggio) di A.. I passeri sulla rete che cinge la casa dei vicini. Il vicino che lavora per sistemare la casa.

In casa

L’elettricità che salta mentre ti fai la doccia, i materassi dell’esercito italiano e le coperte militari, la zanzariera fissa, l’umidità che sale dai muri, l’acqua piena di calcare che fa venire i calcoli a grandi ma anche a piccini. Il Defender che quando ci sali…wow ti senti forte. La stufa che emana calore, non solo quello che scalda le membra, ma anche l’anima: i guizzi delle fiamme ed il compito, quasi taumaturgico, di tenere in vita il fuoco, che pare una creatura da nutrire.

Persone

Le mani ruvide e segnate delle donne, gli sguardi diffidenti, le liceali che abbozzano un saluto in inglese, gli uomini che ti fissano. Il nostro collaboratore locale che deve parlare serbo, albanese e italiano. Una donna che raccoglie i rifiuti che qualcuno le ha gettato sulla porta di casa. Il “Dober Dan” per le serbe e il “Miremengjes” per le albanesi, poi ti sbagli e non ci fanno caso perché tanto sei italiana. Un bambino che vende accendini in un pub e una carezza sulla testa. Un musicista/farmacista che fa una versione rock di “No Ordinary Love” di Sadé. Le studentesse con le divise: gonne a scacchi neri e bianchi e camicie. I. che va in ospedale per un tumore e dopo una settimana ride fragorosamente e urla all’autista che frena troppo brusco. L. dal caschetto bianco che parla in albanese ai serbi. B. che mi ricorda mia zia. L. che porta al collo un ciondolo a forma di coccinella: un regalo dalla Svizzera. N. che va a trovare il figlio che lavora a Bolzano. Gli occhi di S., da lavoratore, occhi dai quali filtra la luce della bontà di cuore. L’imbarazzo di R. che si sfila un suo anello e me lo regala perché non aveva preparato altro…mannaggia a me che non avevo avvertito prima.

Luoghi e simboli

La strada da Perline a Klina: cammini e a volte ti mangi la polvere. Il ponte per Gjakova, cede nel mezzo ma ci passano tutti perché è un anno e ancora non lo hanno messo a posto. L’aquila albanese e la bandiera serba. Graffiti dell’UCK e martiri dell’UCK con relativi mausolei, alcuni imitano la classicità dei templi greci. I vestiti pieni di paillettes e voulant nelle vetrine e poi quelli tradizionali con i pantaloni alla zuava, camicia e gilet ricamato. Il richiamo alla preghiera che si diffonde alle 18 dagli autoparlanti delle moschee.

Cibi e bevande

Il sujuk, lunghi salami color rosso intenso o marroncino a seconda della stagionatura, e la salama, una specie de mortadella. La flia, torta salata con burro e una sorta di panna acida e la pita, sempre con sfoglie burrose, ma ripiene di verdure o carne. La masa, ricotta molto densa e salata, la raki o rakia alla serba, di prugne, mele, pere, ciliegie, uva: grappa. La birra Peja ad un euro a bottiglia. Il vino montenegrino Vranac. I mercati con sacchi di peperoni da minimo 20 kili. Il panino con hamburger e uovo fritto del supermercato ETC. Il buke (pane) dei supermercati che sembra plastica. Il pane di mais caldo, in formato quadrato, e la pita calda e rotonda che quando la apri esce la nuvoletta di fumo. Le verdure marinate nell’aceto, un mare di aceto…

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