E’ passata una settimana dal nostro arrivo a Cittá del Messico. Lo spaesamento e il leggero disagio iniziale, presenza immancabile dei primi giorni di ogni viaggio, iniziano ora a sfumare e a perdere di intensità. I luoghi e i volti iniziano a diventare familiari, mentre odori e sapori sempre nuovi iniziano ad essere meno spiazzanti.
Il Messico ci accoglie fin da subito con il caos ed il calore che ci si potrebbe immaginare. Le procedure per uscire dall’aeroporto sono lunghe e confuse e mentre avanziamo sospinti da una folla verso l’uscita una scritta al led luminosa spicca all’interno di un corridoio buio e angusto. Leggo “Welcome to Mexico” mentre una famiglia con figli al seguito mi spintona sulla destra e un inserviente dell’aeroporto mi intima di fargli spazio sulla sinistra. La prossemica, in Messico, ha un significato un po’ tutto suo.
All’uscita ci attendono Padre Enzo, il nostro supervisore (nonché parroco della chiesa a cui è legato il centro educativo e ricreativo in cui andremo a lavorare), Paolo e Rolf (due ricercatori dell’Università di Torino) e una gentile señora il cui nome purtroppo non ricordo. Fuori è buio e fresco e nel tragitto verso casa guardo fuori dal finestrino in cerca di punti di riferimento da memorizzare, con pessimi risultati.
La nostra nuova casa, situata a pochi minuti a piedi dal centro dove lavoreremo, è piccola e accogliente e la cordiale señora Lulù ed il suo ultranovantenne padre don Manuel ci mettono subito a nostro agio. Nei giorni che seguono ci accompagnano alla scoperta del quartiere e ci cucinano piatti sempre saporiti e abbondanti. Lulù si vanta di avere una dieta equilibrata e sana, a differenza di molti altri suoi connazionali (il Messico è il paese più obeso al mondo), mentre l’unica difficoltà iniziale è nell’abituarsi ai diversi orari di pasto: pranzo intorno alle 16 e cena verso le 23.
Impariamo quindi a conoscere la nostra colonia di San Juan de Aragón, nella delegazione di Gustavo A. Madero (circa un milione di abitanti). Veniamo introdotti ai vicini di casa e accompagnati tra i colorati e caotici mercati di quartiere. E’ bello constatare come anche all’interno di una città da 20 milioni di abitanti il senso di comunità sia più vivo che mai. Ben più vivo di quanto abbia mai percepito nella mia città, che di abitanti ne fa sì e no 40.000.
La formazione
Il primo approccio con il centro educativo e formativo Leonardo Murialdo IAP è caloroso e accogliente. Grazie anche alla presenza di Paolo e Rolf (i due ricercatori dell’Università di Torino) veniamo subito integrati alla perfezione nello staff locale che si dimostra aperto e molto ben disposto nei nostri confronti. Alfonso, il nostro mentore, ci accompagna per il centro descrivendoci le attività svolte. Laboratori di computer, sale lettura, palestre, lezioni di taekwondo e cheerleader (questi ultimi forniti da scuole private), laboratori di parrucchiera e cucina ma soprattutto molta musica sono le principali attività proposte alla comunità. Una simile offerta è un grande patrimonio per i ragazzi della zona, che hanno a disposizione alternative credibili alla noia della strada.
Dopo esserci fatti spiegare l’oggetto della ricerca da parte di Rolf e Paolo e di come questa andrebbe approfondita, cerchiamo insieme ad Alfonso di capire quale sarà il nostro ruolo all’interno del CEPTRA. Il nostro supervisore ci spiega la sua perplessità riguardo la capacità del centro di attirare ragazzi provenienti da situazioni di povertà estrema e la difficoltà di elaborare strumenti di monitoraggio adeguati in tal senso. Sarà nostro compito, in un primo momento, provare a sviluppare e a proporre tali strumenti.
Nella prima settimana facciamo anche in tempo a stringere amicizia con alcuni ragazzi che quotidianamente frequentano il CEPTRA (Centro Educativo Preparación al TRAbajo) e a sfidarli in un torneo improvvisato di calcio balilla. La pallina è una sfera del mouse e i giocatori un po’ scassati, ma il divertimento non ne risente. Ci troveremo bene, ne sono certo.