Mid Term Evaluation – Il mio sguardo sul Nord

Primo giorno (3 luglio 2013) – Le aspettative

Il primo giorno della valutazione si sono tenuti importanti momenti di scambio e condivisioni tra me e le due responsabili Danila Zizi (mentor) e Mevlude Murtezi (supervisor). La giornata è stata piuttosto piena in quanto sono stati trattati argomenti come la valutazione delle aspettative e i futuri obiettivi, aprendo la possibilità di rimodulare la mia collaborazione al progetto tenendo in considerazione entrambi. Le aspettative sono state rispettate, in quanto l’esperienza di volontario all’interno della ONG Childproof mi ha permesso non soltanto di prestare un sguardo più attento al mondo della cooperazione e delle associazioni kosovare ma anche di approfondire la conoscenza della società locale e coltivare la mia sensibilità nei rapporti umani e interculturali. Potrebbe senz’altro sembrare troppo per una esperienza di tre mesi, ma con lo spirito giusto e le giuste guide non è stato difficile calarsi in questa esperienza al cento per cento cercando di trarre più lezioni possibili dal vissuto quotidiano. E poi naturalmente ci sono i bambini, la loro spontaneità va oltre ogni limite culturale immaginabile e ci riporta a livelli più umani le concezioni che abbiamo della diversità e delle relazioni.

Gli obiettivi previsti per il primo trimestre corrispondevano in buona parte con le aspettative, in quanto riguardavano la conoscenza del territorio e l’integrazione all’interno dell’organizzazione ospitante. Anche per questo sono stati considerati raggiunti da tutto lo staff coinvolto nella valutazione.

un momento di pausa dal training  con lo staff di Cipof

Un momento di pausa dal training con lo staff di Cipof

La seconda parte della giornata è stata dedicata a una serie di incontri bilaterali con i responsabili e lo staff, durante i quali sono emersi i settori in cui si è operato e quelli da sviluppare con maggior rigore durante la seconda parte del servizio volontario. L’approccio professionale ma informale della mentor e della supervisor hanno consentito uno scambio di opinioni sereno e costruttivo sul futuro contributo nel settore comunicazione della ONG per i tre mesi a venire, chiarendo dubbi e incertezze e ponendo buone basi per una fruttuosa collaborazione.

Secondo giorno (4 luglio 2013) – La gita al Nord

La gita al Nord è stata spunto di una riflessione profonda, potrei soffermarmi sulla bellezza della campagna della Drenica all’inizio dell’estate, sui suoi colori, o magari sulla carica mistica di alcuni monasteri serbi, sui piccoli e grandi episodi di contrapposizione o condivisione tra serbi e albanesi. Perché il Nord Kosovo è anche questo: la povertà vissuta con estrema dignità e il senso d’abbandono vissuto da una popolazione – quella serba – che non ha più punti di riferimento e sbanda in cerca non solo di sostegno ma anche di veri obiettivi. Potrei raccontare delle valli con acque termali o dell’ospitalità dei kosovari, una delle tante cose che hanno in comune serbi e albanesi. Del resto non potrebbe essere diversamente tra due popoli che abitano un confine e ne condividono le sorti, con fortune alterne. Il Kosovo in fondo è questo, un confine tra la zona popolata dagli slavi, per lo più serbi, e quella abitata dagli albanesi, e come tutte le zone di confine è bilingue e multiculturale (basta pensare al Friuli, al Belgio, all’Alsazia e tutti i confini conosciuti).

Il confine, fisico e concettuale, nel Nord Kosovo è realtà di tutti i giorni, è un’esperienza vissuta sulla pelle di migliaia di persone, anche di quelle che il confine l’hanno voluto e creato, ma adesso non possono fare altro che subirlo.

Questa era l’idea che avevo anche prima della visita al Nord effettuata il 4 luglio, ma quella esperienza è servita a sviluppare un’altra riflessione, sulla presenza internazionale in loco e sulla percezione, tanto locale quanto internazionale della tensione.

A volte basta nulla a far salire la tensione. Una parola sussurrata d’orecchio in orecchio, un dito puntato, delle macchine che si spostano in fretta in una direzione. Così si incendiò il Kosovo nel 2004, con un sospetto che divenne certezza man mano che la notizia si allontanava dalla fonte e dalla realtà. Oggi la tensione sale nonostante, o forse per colpa, delle truppe internazionali. La terra trema all’improvvisa mobilitazione di mezzi pesanti, allo stesso tempo precauzione e miccia della vecchia polveriera balcanica. Le elezioni si avvicinano e il teatrino della mobilitazione delle truppe internazionali per motivi precauzionali è nelle aspettative di tutti.

Così sarà nuovamente e massicciamente militarizzata una zona che avrebbe tanto bisogno di pace. Ma siamo sicuri che inviare armi in una zona di tensione sia la giusta strategia per calmare gli animi? Intensificare i controlli ai check point, introdurre disagi alla popolazione locale che ogni giorno attraversa il ponte pedonale di Mitrovica a piedi con le buste della spesa mentre il ponte stradale, elevato a simbolo di divisione, viene appesantito dallo schieramento di truppe in assetto da guerra, risponde realmente a una esigenza della popolazione locale? Un carro armato a bandiera tedesca è soltanto un deterrente o finisce per essere vissuto come una ingiustizia da tutti? Da coloro che credono alla sovranità del Kosovo come da coloro che si sentono puntata contro la grossa canna da 120mm.

Per le strade di Mitrovica Nord

Per le strade di Mitrovica
Nord

Gli interrogativi si susseguono con il proseguire dell’osservazione di una zona che produce più domande di quelle a cui possa rispondere (per fare il verso al – fin troppo citato – vecchio Churchill). Le domande sulla identità kosovara, sulla guerra, su quanti punti di vista diversi possono convivere su uno stesso avvenimento, affollano la mente confusa degli internazionali che si ostinano a voler dare una spiegazione razionale. Ebbene se la politica e la guerra possono avere un volto razionale, il modo di viverle delle persone spesso non lo ha. Che senso ha allora cercare spiegazioni razionali a qualcosa che di razionale non ha nulla? Non sarebbe forse meglio limitarsi ad ascoltare, a creare empatia, senza esprimere giudizi sulle persone? Gli unici giudizi legittimi in Kosovo sono quelli delle Corti preposte ad amministrare la Giustizia, che spesso – come in tante altre parti del mondo – è tutt’altro che uguale per tutti, ma risponde alla logica del più forte e del vincitore. La stessa logica a cui risponderanno i libri di storia, la distribuzione della ricchezza e delle cariche di potere nel Kosovo di domani.

Questa non vuole essere una lettura pessimistica dell’atmosfera respirata al Nord, che comunque è riuscito col tempo a costruire un proprio precario equilibrio. Vorrei soltanto cercare di porre le basi per un’analisi più approfondita, dei punti fermi che mi aiuteranno nell’osservazione e nella descrizione del territorio kosovaro durante la mia breve permanenza.

Terzo Giorno (5 luglio 2013) – I volontari

Il terzo e ultimo giorno della valutazione è stato il più rilassato ma non meno interessante. Si è creato un momento formale in cui fermarsi per uno scambio di esperienze con le altre volontarie. Nonostante avessimo già avuto occasione di condividere le nostre esperienze, avere un momento formale per farlo in maniera più strutturata è servito non solo a conoscerci meglio ma anche ad affrontare tematiche più strettamente lavorative, cercando di capire punti di forze e debolezza della ONG con cui collaboriamo. Per questo penso e spero che la ONG Childproof trarrà vantaggio dal nostro scambio, perché adesso siamo tutti un po’ più coscienti della parte da giocare nella seconda parte della nostra permanenza.

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