12 agosto 2013_E’ passato un mese e mezzo dal mio arrivo in terra brasileira e ogni giorno continua la raccolta di nuovi pezzi di puzzle della realtà locale, consapevole, però, che è un puzzle di cui, forse, potrò solo focalizzare una piccola parte prima di dover ripartire.
Le attività principali sono avviate e altre si presentano interessanti e possibili. Le lezioni di percussioni procedono bene, anche se l’idea di fare un’esibizione in piazza andrà ridimensionata rispetto a come l’avevo immaginata, perché, forse, richiederà più tempo di quello che mi resta [qui un video di una delle prime lezioni: https://www.facebook.com/photo.php?v=10201687357685274 ]. Il corso sulle tecniche di memorizzazione è alla sua quarta lezione, diviso in due turni per venire incontro agli orari degli insegnanti. Il mio portoghese migliora ogni giorno e con Padre Jorge e Padre Idair ho quasi smesso di parlare italiano, anche se ci son giorni in cui risulta molto stancante trovarsi nella full-immersion linguistica totale. Altre idee, ancora solo in cantiere, riguardano il supporto alle lezioni umanistiche e nuove attività di animazione organizzata durante i momenti di gioco libero, con i ragazzini divisi in squadre fisse e con premi simbolici ogni mese, l’obiettivo è motivare os meninos a frequentare il centro educacional tutti i giorni e al tempo stesso responsabilizzare i più grandi…
Contemporaneamente a tutto questo si sta alimentando anche la mia vita sociale, e Ibotirama mi sta sorprendendo, sembra molto più attiva di quanto non credessi: quasi quattro settimane fa ho avuto modo di assistere alle ultime selezioni prima del FEMPI, un evento musicale inserito nel festival di musica e poesia, che valutava canzoni e poesie d’autore in arrivo da un po’ tutta Bahia facendo superare la prova alle prime cinque. Le selezioni sono state svolte come uno spettacolo vero e proprio ed è stato un momento di vita definibile “normale”, considerando che non mi aspettavo di poter incontrare un evento simile qua, per l’idea iniziale che mi ero fatto della mia destinazione. E invece: ecco il presentatore sul palco, la giuria di valutazione, i numerosi premi e la piazza piena di ibotiranensi. C’era così tanta gente che non si riusciva a trovare acqua in bottiglia in nessuno dei bar attorno alla piazza e io ho rischiato di bere un’acqua di cui non si era certi se fosse filtrata o meno. Devo ringraziare le persone che mi accompagnavano, che mi hanno trattenuto dal berla instillandomi il dubbio, mentre io confidavo innocentemente in chi me l’aveva venduta… Il quale poteva anche non essere in malafede, semplicemente poteva non considerare che il mio intestino potesse non essere preparato come il loro all’acqua locale non filtrata… due giorni dopo, infatti, ho visto una bimba di 7 anni circa allungarsi dalla barca in cui eravamo io e padre Jorge, riempire una bottiglietta di plastica con l’acqua del fiume e portarla alla bocca placidamente, davanti a sua madre che la guardava parimenti… per la serie “tutti anticorpi!”.
Il giro in barca attraversando il fiume era dovuto alla visita a una comunità in un’isola dove padre Jorge andava a tener messa circa una volta al mese; e io avevo colto l’occasione per visitare i dintorni e attraversare il rio san Francisco per la prima volta. La destinazione era una piccola comunità dove la maggior parte delle case sono costruite alla maniera dei primissimi Ibotiranensi: fango pietre e bastoni intrecciati. Il piccolo villaggio ci ha accolto con un orto ampio, ricco e molto verde, accompagnato dal rumore della pompa a benzina che aspirava l’acqua dal fiume. Il “capitano” del “barco” con cui siamo arrivati ci guida al posto dove si sarebbe svolta la messa e ci regala due manghi colorati e incredibilmente profumati, il mio avrei potuto consumarlo solo annusandolo…
Il sole e il caldo si facevano sentire molto, tanto che i punti di ritrovo del villaggio si aprivano solamente sotto ad alcuni tipi di alberi con una ramificazione folta e intrecciata fino quasi a terra, dove si creava abbastanza ombra e spazio vivibile.
Sotto ad uno di questi alberi c’erano due lunghe panche appoggiate a tronchi interrati a mano, che padre Jorge mi spiegò essere stato fatto alla maniera in cui si faceva in Guinea Bissau, sotto alla sua guida. Prima sotto a quell’albero non c’era nulla e la gente portava le sedie a mano ogni volta, mentre adesso era praticamente il luogo definito chiesa. Per questa messa si erano radunate circa 25 persone, evidentemente tutta la comunità, e non hanno mancato di farmi sentire accolto e benvenuto.
Al momento della despedida abbiamo attraversato un altro tratto di fiume senza seguire lo stesso percorso dell’andata, per andare ad intercettare Padre Idair che, nel frattempo, era andato con la Toyota a tener messa ad un’altra comunità della zona, molto più grande e distante.
Nel raggiungere il punto d’incontro, io e Padre Jorge abbiamo attraversato diversi altri campi coltivati con tante varietà di frutta, cereali e verdura. In quel momento Padre Jorge affermò che questa è una comunità particolarmente attiva nell’agricoltura, ma che, purtroppo, non sono tutte così. Secondo lui, se Ibotirama e il suo fiume fossero in Guinea Bissau, non ci sarebbe un metro di terra libero per fare altro che non siano coltivazioni. Lui sostiene che la gente, qua, non abbia voglia di impegnarsi, che sia poca la gente proattiva e molta quella che si appoggia all’assistenzialismo statale, uno strumento come altri per mantenere il popolo controllato.
Devo premettere che queste sono le opinioni di un prete originario del sud del Brasile e arrivato qua ad Ibotirama (Bahia) l’anno scorso dopo 12 anni di missione in Guinea Bissau. L’idea secondo cui al nord del Brasile non ci sia volontà di impegnarsi è un luogo comune radicato (e, forse, anche motivato…) e in Guinea Bissau sembra che Padre Jorge si fosse trovato a lavorare con gente particolarmente volenterosa.
Ad ogni modo, pur applicando questi filtri al suo punto di vista, la situazione potrebbe non essere tanto diversa da come la stava descrivendo. D’altra parte, però, non credo che i problemi di questo tipo abbiano solo una radice comportamentale e, quest’ultima, credo si presenti spesso come una possibile grande scusa per fare leva sulle persone, senza mettere in discussione, contemporaneamente, anche il sistema e l’organizzazione politica/amministrativa di un determinato luogo.
In ultima analisi, però, c’è anche da considerare che la politica è fatta di persone e queste vi portano i loro comportamenti. Citando i social network (per quanto siano una fonte discutibile di informazioni…), su facebook è facile incontrare immagini come questa:
che ricordano che i problemi del brasile siano radicati nelle persone (poca volontà di studiare, leggere e lavorare, superficialità dei discorsi, volontà di farsi sostentare dal finanziamento statale “Bolsa Familia”, incapacità di votare, assenza di iniziativa e di interesse nel futuro del Brasile) prima che nel sistema.
Dov’è quindi la radice? Nel sistema e nell’assistenzialismo o innanzitutto nelle persone? Qual è la causa e quale la sua conseguenza?
Mi rendo conto che nel raccogliere pezzi di puzzle mi sto imbattendo anche in pezzi di iceberg, quell’iceberg invisibile, ma dalla grande inerzia, che è la cultura antropologica di un popolo… Il quadro presenta la sua complessità e io mi chiedo come sia possibile farsi un’idea della situazione locale, quando ogni singolo pezzo raccolto può illudere, confondere o semplicemente non significare nulla senza considerare la sua radice, che può risultare anche molto profonda e ramificata…
E, in definitiva…: è possibile sperare di comprendere in un tempo così breve come quello a mia disposizione? Forse no, ma sento che la comprensione (pur temporanea e parziale, e anche se erronea) è una necessità. E, d’altro canto, ancora, pensare a complessità imperscrutabili non alimenta la mia voglia di capire. Che, forse, quindi, sia meglio continuare a “navigare a vista”, pur concedendosi il rischio di sbagliarsi clamorosamente, naufragando “Titanicamente” su questi iceberg culturali?
Un altro dato che ho avuto modo di registrare è che qua sono moltissime le famiglie separate/divorziate. Vivere con tre preti mi porta a parlare o ascoltare dei problemi della gente comune ed è buffo sentire alcuni loro consigli. Per citarne una tra le più semplici, in estrema sintesi, la cui risposta mi è rimasta impressa per la sua limpidezza: una moglie si lamenta che suo marito è depresso e beve… In risposta, il prete domanda diretto: “ma lei ci fa l’amore??” [NB: l'aneddoto mi è stato riportato dal prete in questione...]
Comunque, considerando le situazioni estreme che si possono trovare qua (e di cui ho accennato nel primo articolo), quello appena citato è un caso ben facile …
L’altro giorno ho conosciuto una ragazzina di cui mi sono stupito scoprire l’età, perché non dimostrava assolutamente solo 15 anni… ma ancor di più mi sono stupito nel sapere che è già sposata e ben felice di esserlo… Le auguro ovviamente felicità, ma non riesco a non pensare alle tante persone conosciute qua che hanno già un matrimonio precoce alle spalle. Sempre considerando le altre strade possibili che la gioventù può prendere qua, capisco la gioia di aver trovato, già alla sua età, un matrimonio in cui sperare. Qualche giorno più tardi ho saputo che si è sposata con un ragazzo che lavora in un circo e che, quindi, è spesso in giro per il Brasile lasciandola sola ad Ibotirama… ancora i miei migliori auguri ad entrambi, perché credo ne abbiano bisogno!
Anch’io, da figlio, ho vissuto una separazione tra i miei genitori, ma, per quanto creda di essermi interrogato abbastanza su cosa significhi mantenere un legame suggellato da un matrimonio e da una famiglia, non so quanto io possa commentare il numero di divorzi in questo luogo… L’unica cosa che posso fare, forse, è solo prenderne atto.
La coordinatrice del centro educacional ha 36 anni e non si è ancora sposata, non ha nemmeno un fidanzato perché ne cerca uno che sia responsabile. Preferisce star sola piuttosto che rischiare di trovarsi in uno dei racconti che sente, fatti di coppie rovinate, conviventi infelici o coinvolti in storie condite da alcol, droghe o depressione morale, magari dovuta anche alla mancanza di lavoro…
E’ certo che la mancanza di lavoro e il rifugio nell’alcol o nelle droghe mettano in difficoltà la stabilità di certi legami, ma, mi chiedo, alla luce delle opinioni di Padre Jorge… la mancanza di lavoro è reale? Ed è forse questo il lato oscuro dell’affascinante cultura Brasiliana/Bahiana?
Quasi un mese fa io, Padre Jorge e altri 2 professori del centro educacional siamo andati a casa di un ragazzino del centro che, due giorni prima, aveva perso il padre (di 43 anni) a causa di un incidente, mentre era a caccia di capre selvatiche. Ascoltando i discorsi della madre (per quello che riuscivo ad intendere allora) ho capito che quella era una delle poche famiglie che, invece, tenevano molto bene, che avevano un focolare di amore, lavoro e impegno reciproco… con un marito che lavorava molto e che permetteva alla moglie di non doversene occupare e di curare, piuttosto, la casa e i figli…
Proprio in una famiglia così era avvenuto quello che non è altro che un incidente, divenuto disgrazia. Mi erano rimasti impressi gli occhi del ragazzino che non si trattenevano dal rispondere ai miei sguardi con la stessa gioia dei giorni precedenti a scuola, ma che quando tornava a guardare il vuoto, ascoltando i racconti della madre rivolti a noi, assumevano l’aria di chi si trova a dover diventar grande un po’ prima degli altri.
Gli auguro per la sua vita il meglio di quello che posso augurare; e tornando in macchina verso la scuola mi sono posto un ultimo punto di domanda, riguardo a cosa stia facendo, io, qua, con il mio lavoro volontario, per uno nella sua situazione…