Mi colpisce sempre la sensazione che provo al ritorno da un viaggio … lungo o breve che sia ho l’ impressione di tornare ogni volta un po’ cambiata. Arricchita di colori, sensazioni, immagini, espressioni e gesti, e al tempo stesso con qualcosa in meno: quel qualcosa fatto di blocchi, chiusure, timori e incertezze che atavicamente mi appartengono e inconsapevolmente mi condizionano.
Ed ecco che lo scoprire nuovi luoghi e culture porta alla luce parte di questi nei, ne divento consapevole: li guardo, accetto e se posso rimuovo.
Anche il “mio” Brasile è stato così. Un Brasile agognato per mesi e che purtroppo è stato limitato dalla burocrazia che mi ha impedito di goderne appieno, ma ricco, ricchissimo.
Come è inevitabile che sia, sono partita con mille aspettative e interrogativi, curiosa e impaziente ho incontrato una realtà nuova e particolare, piena di contraddizioni, di situazioni difficili.La mia prima difficoltà è stata la lingua. Avevo inizialmente messo in conto che sarebbe stato complicato, ma proiettandomi su dodici mesi di permanenza, lo scoglio iniziale avrebbe pesato meno. Dovendo invece ridimensionare tutta l’esperienza a soli tre mesi, con la consapevolezza che sarebbero volati in un lampo, la frustrazione iniziale di non capire, di non poter comunicare liberamente, di non poter soddisfare le mie curiosità ponendo delle domande e soprattutto capendo le risposte mi ha colta impreparata. E così ho dovuto cambiare modo di pormi, mi sono riscoperta osservatrice… e dove le orecchie non arrivavano, gli occhi compensavano!
Indelebili immagini mi ritornano alla mente nitide e forti. I colori, mi hanno colpita tantissimo. Era periodo di piogge che si scatenavano torrenziali per poi terminare nel giro di massimo un’ora. Il cielo si faceva plumbeo, il verde della vegetazione e il rosso dei mattoni delle case assumevano una sfumatura indescrivibile un contrasto quasi artificiale, per quanto fosse marcato, e che le tante foto che ho scattato non potevano catturare
Altra cosa che mi ha stupita sono stati i sorrisi.. Sorrisi sinceri, accoglienti e caldi sempre accompagnati da un abbraccio, di bambini e adulti che anche se appena conosciuti già erano pronti ad aiutarti, anche se non richiesto o non necessario… una disponibilità quasi imbarazzante stando al nostro aplomb occidentale! Ricordo un episodio, che anche se non il più importante è emblematico perché assolutamente gratuito: era una delle prime domeniche a São Luis ed io e la mia compagna di viaggio Coretta eravamo in esplorazione della città che ci stava accogliendo. In pieno giorno camminavamo in centro in una via residenziale e apparentemente tranquilla, stupite dal fatto di trovare la città semideserta avevamo attribuito la cosa al fatto che fosse ora di pranzo, finchè ci sentiamo chiamare da una voce femminile. Una donna che ci aveva viste passare si era preoccupata per noi perché palesemente straniere stavamo camminando proprio di domenica in una via deserta. La domenica la città non è sicura, tutti i negozi sono chiusi e la possibilità di essere assaltati a quanto pare è molto alta, così la signora dopo averci spiegato la situazione ha chiamato il figlio affinchè ci desse un passaggio in macchina anche se per poche centinaia di metri, inutile dire che è stato impossibile rifiutare!
Questi sorrisi e questa disponibilità sono stati la colonna portante di tutta la mia esperienza. Gran parte del lavoro svolto consisteva nel procurare informazioni, contatti con le strutture educative, cercare di capire come fosse organizzato il territorio, cercare di capire quale fosse il territorio! Sembra assurdo ma stando in una zona periferica in cui i quartieri erano nati come invasões (occupazioni abusive) ancora non tutti risultano sulle mappe e benché serviti dai mezzi pubblici, con la presenza di qualche scuola e altre strutture municipali spesso venivano identificati con nomi diversi cosa che rendeva piuttosto complicato capire la geografia del posto! E così praticamente tutte le persone con cui abbiamo parlato si sono sempre dimostrate disponibili a darci informazioni, pazienti nonostante il mio portoghese inizialmente stentato, ci accoglievano nel loro ufficio offrendoci un caffè e ci dedicavano il tempo necessario a soddisfare le nostre domande.
Altri sorrisi indimenticabili quelli ancora più spontanei dei bambini che mi rincorrevano per strada gridando “ TIAAA” (zia), e che accompagnandomi per un pezzo di strada si congedavano con un abbraccio e un sorriso sdentato! Bambini di quartiere, alcuni conosciuti al Cras, centro educativo che accoglieva mattina e pomeriggio bambini e adolescenti in situazioni di precarietà, con i quali abbiamo giocato e lavorato insieme, altri incontrati durante le attività di reforço escolar presso la parrocchia e la casa dei Padri Giuseppini, e altri ancora conosciuti a forza di incrociarsi per strada, schivando gli aquiloni o aspettando l’autobus.
Con queste immagini ed emozioni mi ritrovo ora in una grigia Torino, piovosa e fredda, spesso indifferente e ingrata di essere più fortunata, con saudade del calore termico e umano di quei brevi tre mesi che ormai sembrano lontani ma il cui ricordo ancora mi riscalda!
E come disse Sant’ Agostino:
Il mondo è un libro, e chi non viaggia ne legge solo una pagina!