Colonia Molina: un hogar sin lugar

L’autobus riprende la propria marcia, la porta aperta, l’ultimo salito ancora sui gradini attende che la fila per la convalida del biglietto vada avanti, mentre l’asfalto fugge a 50 cm di distanza dai suoi piedi. Come sempre è affollato, di ragazzi, signore anziane, madri con bimbi a cui cedere il posto. È impensabile tentare di sedersi prima di 3 quarti d’ora, prima della metà del percorso che ci condurrà a Colonia Molina. La città si mostra correndo attraverso i finestrini, i vari negozi di calle san Martin uguali per colori e  insegne, interrotti solo dalla prima cuadra del paseo Alameda, dopo  di che il micro svolta, verso una via più stretta di abitazioni basse ed ininterrotte, le case ad un piano a cui la paura dei terremoti passati impedisce di crescere. A volte la storia insegna e la memoria è utile monito. Il paesaggio cambia poco a poco, il traffico sfoltisce, il bus supera i primi carri trainati dai cavalli e prosegue la corsa verso nuove improvvise fermate e repentine messe in moto. Salgono altre giovani madri dal volto vissuto, gli occhi profondi. In braccio il più piccolo dei bimbi, per mano gli altri due o tre che a volte le precedono nella speranza di occupare un posto libero. Ci si sbatte addosso, aggrappati ai sedili e qualcuno cede il proprio posto ad un anziano dall’espressione altera. Le case si diradano e si moltiplicano i manifesti elettorali affissi sui pali della luce “Guaymallèn. Vota Abraham”, sempre lo stesso per infinite volte, per una ventina di km lo stesso volto, lo stesso sorriso tranquillizzante, la stessa pelata sul colore azzurro del partido. Chiese e Gesù di varie forme e dimensioni si susseguono lungo le strade, in molti si segnano ad ogni stazione. Un recinto pieno di gru e scavatrici ospita una statua del Cristo che, contornata dai gialli macchinari si mostra ai passanti indicando il cuore sanguinante. Ma Jesus Criste Super Car  non stona affatto in questa bizzarra cornice e, dopo le prime volte, quasi ci si abitua al suo sguardo perso nell’asfalto bollente. Dal canto loro, le Case del Signore, hanno un’architettura moderna e poco gradevole agli occhi, cattoliche o protestanti che siano, si ergono con vetrate, specchi e prati inglesi, anche quando la città inizia a diradarsi fondendosi col deserto che circonda Mendoza ed appaiono le case più povere, i quartieri di villas, catapecchie di fango, lamiere, canne e paglia.

Sono quartieri impiantati da una ventina d’anni in questa zona rurale, da quando il governo decise di spostare verso la campagna le frange più problematiche della popolazione cittadina, decretandone l’invisibilità, allontanandole dallo sguardo dei civili, seguendo quel borghese concetto di pulizia secondo il quale basta allontanare il disgraziato per non sentirne la puzza, fornirgli il minimo basico per vivere per non ascoltarne la voce,  mantenerlo mediamente ignorante per ottenerne il voto. Ma l’emarginazione non risparmia il lindore benpensante e torna alla ribalta fin nel cuore della città dove gli scippi sono all’ordine del giorno; dove il passante al quale si chiede un’informazione, oltre alla meta, indica anche la strada più sicura per raggiungerla; dove tutte le finestre ed i balconi sono gabbie di grate; dove i negozi aperti la notte comunicano con i clienti attraverso minuscole finestrelle.

La corsa dell’autobus prosegue fino ad una fermata alla quale scende buona parte dei passeggeri. E’ il momento giusto per prendere posto, prima che salgano gli scolari irrequieti che tra spintoni e grida incontriamo ogni giorno. Mangiano un’arancia, sbucciata per metà e presa a morsi. Se ne lanciano la scorza e uno di loro si accomoda spesso sul cruscotto dell’autobus, accanto all’autista conosciuto. Adesso abbandoniamo la strada asfaltata, imboccando quella polverosa. Non si sa perché, lasciato l’asfalto, il bus accelera, indipendentemente dal conductor presente, incalza il sentiero a grande velocità, incurante dei buchi, delle pietre che rimbalzano tra le ruote, dei polveroni sollevati addosso ai passanti, ai carri e alle moto. Tutti i passeggeri hanno premura di chiudere i finestrini per evitare di assaporare la sabbia. Siamo già nel pieno del deserto che circonda Mendoza, superiamo una agglomerato di villas, ragazzi giocano sul ciglio della strada, cani gironzolano intorno alle macchine arrugginite parcheggiate nei giardini, panni stesi su dei fili instabili, persone sul ciglio delle porte, bimbi con cartelle sulle spalle corrono verso casa. Sullo sfondo, le Ande delimitano la pianura, le cime bianche definiscono la fine di questo mondo arido. Solo scendendo ci si accorge che i campi candidi devono il loro color biancastro al salitre, sale che l’acqua a bassissima profondità rilascia sul terreno rendendolo incoltivabile. Lasciare la strada e camminare su uno di questi appezzamenti dà la sensazione di camminare su una spiaggia nella quale, dopo una forte mareggiata, il sole abbia seccato l’acqua. La crosta di sale si spacca sotto i piedi, sgretolandosi in mille rigidi pezzetti. Ma il mare è lontano, oltre le vette andine. Scendiamo dall’autobus e salutiamo i bimbi che attendono di entrare per il pranzo al centro educativo comunitario.

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Il Centro Educativo Comunitario San Cayetano ha un portone azzurro mare, colore molto acceso nel contesto di Colonia Molina: intorno è solo luce pura sulla sabbia, il campo di fronte è un terreno crudo di sale accecante con due porte di calcio prive di rete. Carri, moto, camion e macchine anni 60, passano con poca frequenza cospargendoci di polvere. L’ombra di due alberi ristora l’ingresso in questi giorni ormai afosi. Durante il primo mese in Argentina abbiamo collaudato la rigidità del freddo mendozino e ringraziato i bambini che all’attesa dell’autobus accendevano un fuoco sul cigli della strada con i pochi rami trovati intorno.

Si pranza all’una e mezza. Ogni giorno, a quest’ora, i bimbi all’ombra degli alberi attendono d’entrare. Proprio per il fatto di offrire il pranzo ai ragazzi, questo centro è molto più frequentato di quello di san Leonardo, a soli due km da qui. Aspettiamo fuori gli adolescenti che scendono baldanzosi dall’ultimo autobus. Baci abbracci e si va a riempire il piatto in cucina. Hanno tra i tredici e i diciassette anni, sorrisi luminosi sulla pelle scura e occhi come laghi. Le ragazze sono state le prime a rompere il ghiaccio tra domande curiose e risate sguaiate. “Com’è l’Italia? è bello dove vivi tu?, è tranquillo?”, “Si, dove vivo è tranquillo, ma dipende dalle zone”. “Ci sono molte armi?”, “No”. “Que lindo” dice Abi seria, allungando enormemente le vocali. Yasmin mi spiega che le loro madri le proibiscono di avere un ragazzo appartenente allo stesso barrio: “anche se si trattasse di un bravo ragazzo, mia madre considera la fama della famiglia. Bisogna capirla. Se nella famiglia c’è gente che beve molto e si droga…”. I ragazzi giocano e saltano da una parte all’altra, sono scherzi continui anche durante le lezioni. Si prepara il recital di fine anno, ma scopro che il protagonista dalla settimana prossima non verrà più al centro. “Devo lavorare, vado a raccogliere cipolle per tutta la stagione”, “mi pagano 7 pesos per ogni busta, seño”. Molto spesso i ragazzi si assentano per le changas, i lavoretti occasionali con i quali contribuiscono all’economia familiare.

I più grandi di loro, di 16 anni, hanno già il diritto di voto, grazie a una legge recente che li considera maturi per votare ma minori per tutti gli altri ambiti della vita sociale. Ne hanno il diritto, ma non sono obbligati come tutti gli altri. L’assenza dalle urne genera infatti l’imposizione di una muta e condanne che giungono fino alla detenzione di trenta giorni. Sorridiamo quando ci raccontano della veglia elettorale che proibisce i gestori di locali di vendere alcolici da asporto a partire dalle due di notte del giorno delle elezioni. Nessuno dei due sedicenni del centro ha usufruito del diritto di cittadinanza attiva. Perché? “Non mi interessano queste cose seño”. Stupisce non tanto la distanza dalla politica, diffusa in tutta Europa soprattutto in così giovane età. Stupisce maggiormente l’assenza di qualsivoglia rivendicazione di una condizione migliore, in comparazione con quella di altre zone della città. Questo è ancora più visibile nel quartiere “Olivares” di Mendoza, dove solo una via separa le strade asfaltate dai sentieri battuti, la città delle case dal quartiere di villas. Né la strada, né i servizi, né un’abitazione migliore vengono rivendicati qui in città. Nella zona rurale di Colonia Molina invece, la città è distante, i ragazzi non conoscono molto di ciò che li circonda, escono ed organizzano feste nel barrio sconosciuto ai più. Quando la gente chiede dove faccia volontariato rispondo “in un centro educativo, a Colonia Molina”, risposta: “A si, Colonia Segovia”. No, Colonia Molina, che sta tra i quartieri di Colonia Segovia e Corralitos. Ma gli abitanti di Mendoza non la conoscono, e neanche le cartine geografiche, neanche google maps.

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