Tshimbulu è un villaggio nel bel mezzo del Congo (Repubblica Democratica) che conta più o meno 13.000 abitanti, per la maggior parte al di sotto dei diciotto anni, età in cui chi se lo può permettere parte per studiare in altre città. Nonostante gli otto mesi della stagione delle piogge, la terra non è particolarmente ricca, e gli alimenti disponibili, soprattutto nei mesi di novembre e dicembre, sono scarsi. Se a questo si aggiunge il fatto che ogni donna partorisce una media di sette figli e che l’aspettativa di vita si aggira attorno ai 45 anni, si capisce facilmente come il problema della malnutrizione sia serio quanto grave.
L’ospedale saint Francois, che conta ormai quasi dieci anni di attività, è stato costruito dal COE, allo scopo di migliorare le condizioni sanitarie della popolazione e nell’ottica di formare personale adeguatamente preparato a portare avanti la struttura senza aiuti esterni. il centro nutrizionale Moyo (“cuore/vita” nella lingua locale) è una struttura fuori dall’ospedale, ma ad esso collegata, che ospita i bambini malnutriti nel periodo che segue l’ospedalizzazione. Queste creaturine arrivano in condizioni davvero precarie, stanno più o meno una settimana in pediatria per alimentazione forzata e spesso trasfusioni, prima di venire al centro. Il percorso dovrebbe durare non più di otto settimane, tale è il tempo prestabilito per ritornare ad una vita normale, periodo in cui è previsto mangino ogni due ore a partire dalle 08.00 del mattino fino alle 18.00, variando alimenti e seguendo una dieta completa (per quanto possibile vista la reperibilità di alimenti).
Premettendo che è davvero una fortuna per loro che il centro esista, i problemi rimangono molti. Moyo è costituito da una capanna esterna sotto cui i bambini mangiano con o senza pioggia, e delle camere in cui regnano mancanza d’igiene e sporcizia, motivo di continui ritorni in ospedale considerata la salute molto precaria dei bambini malnutriti. Non hanno giochi, nè vestiti (nè tantomeno pannolini), fondamentali soprattutto nelle giornate di pioggia quando la temperatura si abbassa un po’ e coglie impreparati quei corpicini. Ogni bambino deve essere accompagnato da una persona, spesso si tratta della sorellina o del fratellino, che si dovrebbe occupare di lui. Immaginate un bambino di otto anni che fa da genitore al fratello di tre, si occupa di lavarlo, cambiarlo, controllare se ha la febbre, dargli da mangiare. Pensate a cosa può succedere quando è l’ora di pranzo, e il cibo c’è solo per il più piccolo che, con lo stomaco chiuso e nutrito da un sondino fino al giorno prima, si rifiuta d mangiare. Otto anni non sono abbastanza per capire che con un po’ di dolcezza il piccoletto mangerebbe, e la fame si fa sentire abbastanza da approfittare del piatto pieno.Purtroppo la cosa cambia molto poco se è direttamente la mamma ad occuparsene, tanto più che spesso si tratta della “seconda moglie”, poco interessata al benessere del figlio di un’altra.
Nonostante le difficoltà e le numerose situazioni incomprensibili, lavorare al centro Moyo è una di quelle esperienze che cambia un po’ la vita, la migliora, la arricchisce di sorrisi enormi e occhioni dolcissimi. Insegna valori spesso dimenticati, riporta ordine nella scala delle priorità, aiuta ad apprezzare davvero l’abbraccio di un bambino, una corsetta o un lancio della palla, una qualsiasi dimostrazione di ripresa delle forze. E poco importa se chi tieni in braccio non riesce a trattenere la pipì o ti guarda tutto felice perché sta mangiando un vermiciattolo (ricco di proteine). Quel piccoletto arriva dritto al cuore.
Antonietta e Maria