Data e Luogo: Canoa, 19 Gennaio 2014 – Ecuador.
Partecipanti: Paolo Rossi, Dayana Cucè, Luna D’Ambrosi, Letizia Collini, Sergio Pagnozzi
L’orizzonte lavorativo del volontario spinge a confrontarsi con tematiche sociali di un certo spessore. Sembra abbastanza semplice ripensare ad alcuni temi affrontati nel film Ladri di biciclette e ricollegarli all’esperienza del volontario che si muove all’interno di un contesto pregno di difficoltà sociali e umane. Il dibattito tra i volontari si basa su queste premesse.
Letizia dice che al di là dell’immediato confronto con la realtà sociale della Roma del dopoguerra, sensibilmente differente all’universo in cui ci troviamo, è possibile ritrovare medesimi problemi presenti, del resto, in contesti gravidi di povertà materiale e culturale.
Ecco allora come la semplice storia di un poveraccio che cerca con i suoi scarsi mezzi di trovare un lavoro degno e di vivere onestamente rievoca, secondo Sergio, molte delle storie familiari dei ragazzi con i quali lavoriamo perché è proprio una situazione economica familiare problematica a creare dei disagi di gruppo e individuali.
Per Sergio fa inoltre riflettere soprattutto la marginalità sociale delle famiglie che causa un senso di impotenza in conseguenza del quale la povera gente perde le speranze di riscatto sociale.
Seguendo il ragionamento di Sergio, Dayana afferma di non aver potuto fare a meno di concentrarsi sull’azione del protagonista che cerca la vendetta personale, cioè di rubare a sua volta la bici, proprio perché lo stato, nella figura di un carabiniere, non riesce a dare la giusta protezione o comunque a tutelare coloro che abitano nei quartieri poveri; questo crea un’instabilità latente e preoccupante che si ripercuote nel comportamento dei bambini dei nostri progetti, sul loro andamento scolastico e sul loro sviluppo emotivo legato alla formazione della personalità.
La stessa impotenza si ripercuote anche nelle scelte infelici di un cattivo associazionismo; quest’ultimo è spesso ricercato dai ragazzi perché in questo modo si rafforzano a vicenda ma purtroppo tendono a riprodurre atteggiamenti sociali deviati per i quali ci si distacca ulteriormente dalla società e si rafforza quella che sembra un’irriducibile marginalità.
Il fatto che la risoluzione finale del conflitto venga affidato più che al protagonista alla semplicità e alla pietà suscitata dal pianto innocente di un bambino fa pensare, secondo Luna, al fatto che l’intervento dei volontari può essere sicuramente incisivo perché nei bambini stessi c’è un alto potenziale che può essere liberato. Ovviamente l’intervento non è teso alla sostituzione del nucleo familiare ma comunque volto a un sostegno che se non avrà l’ambizione di “salvare” i bambini dal loro destino, almeno avrà il privilegio di essere, nella maggior parte dei casi, l’unico offerto.
In ogni caso, la sconfitta del protagonista che, per quanto possa essere stato graziato dall’intervento del figlio, non riesce comunque a liberarsi da una situazione sociale alla quale sembra condannato, ridimensiona un po’ l’ottimismo di tutti i volontari presenti. E’ opinione comune che spesso si respiri un’aria di sconforto nei vari progetti sia per il limite temporale di questa esperienza sia per il muro che sembrano alzare certe famiglie di fronte ai bisogni della loro stessa prole. Il contributo offerto non intacca certamente la sostanza di una realtà che, come mostrato anche dall’intervento delle stessa maga il cui motto ha il sapore amaro della beffa, sembra essere regolata da ragioni più grandi di noi, misteriose e magari anche insensate. Tuttavia è proprio grazie alla consapevolezza e a alla comprensione dei limiti dei volontari che si è liberi di scatenare tutte le energie a disposizione per riuscire a strappare qualche sorriso e, perché no?, anche a migliorare lievemente qualche difficile situazione personale e familiare.