Premetto che è per me abbastanza complicato descrivere il Kosovo. Nulla qui è di immediata comprensione, serve tempo ed esperienza per potersi fare un quadro completo, non superficiale. Qui, più che altrove la frase “le apparenze ingannano” è calzante.
Posso solo descrivere quello che ho visto con i miei occhi nel corso di ormai tre mesi di permanenza a Klina, una municipalità rurale nella zona ovest e durante le visite per il paese.
E’ un paese pieno di contraddizioni (ma quale paese nel mondo non lo è). Stridente il contrasto tra la vita agricola e le sue tradizioni da un lato (è un paese dove la maggior parte della popolazione vive in aree rurali) e dall’altro, la modernità: l’ingresso di capitali stranieri e gli aiuti della comunità europea ed internazionale che hanno portato con sé supermercati, autostrade… il cosiddetto “sviluppo” insomma.
Sulle strade si alternano carri di legno trainati da cavalli e Suv fiammanti con targhe tedesche o svizzere (molti kosovari sono emigrati all’estero per motivi lavoro). Un altro esempio: i supermercati sono pieni di prodotti di ogni tipo ma poi le donne cucinano ancora quasi tutto in casa, almeno nelle zone rurali, quale quella dove sono io.
Le persone sono segnate nel volto da una quotidianità che è dura, sia per le rigide condizioni climatiche che per la situazione economica: il 30% della popolazione vive al di sotto della soglia di povertà. Ma questa povertà spesso è nascosta tra le mura delle case. Come è nascosta la violenza sulle donne, l’80% degli individui che subiscono violenza domestica sono di genere femminile. Penso che le case e la vita domestica siano la chiave per capire questa società, è dentro le case, nelle dinamiche familiari che si può capire quali tipi di rapporto si instaurano tra generi e generazioni.
Il modello di società è fortemente patriarcale e le donne sono per me le “grandi invisibili” del Kosovo. Se ne vedono poche in giro (prevalentemente ragazze in età scolastiche e signore anziane), e quando escono sono quasi sempre accompagnate da figure maschili; molte sono intimorite, hanno un atteggiamento passivo ed accondiscendente, frutto di un lungo retaggio di ruoli di genere stereotipati. La donna è l’”angelo del focolare” e a lei spettano tutti i lavori di cura familiare; è l’uomo ad avere una posizione sociale, a tenere i rapporti con l’esterno, anche se questa mentalità sta lentamente cambiando, lasciando maggior spazio alle donne nella vita pubblica ed economica del paese.
La popolazione in genere, a mio parere, ha un carattere riservato, chiuso, difficili da interpretare i gesti, gli atteggiamenti. Pare quasi alzino un muro davanti a noi “internazionali”. Si aprono però in gesti di generosità e accoglienza una volta che ci si conosce.
Il Kosovo è sicuramente un paese in fermento…lo si percepisce e lo si vede: nelle strade in costruzione, nella riqualificazione urbanistica della capitale, nella miriade di piccoli esercizi commerciali che sono sorti, sul modello di quelli occidentali.
La definizione per me più consona è quella di un paese diviso tra passato e presente, in bilico tra tradizione e modernità, con tutti i contrasti che ne derivano. Chissà che risultati avrà questo momento di passaggio? Staremo a vedere.