VITA GASY

Festa di natale

Maharivo, è questo il nome del ‘quartiere’ in cui abito da settembre, dall’inizio del mio viaggio. Vivo con due ragazze italiane, un Don e ogni tanto i volontari di passaggio per lo studio della lingua.
Maharivo è uno dei 21 quartieri di Ambositra, una cittadella dell’altopiano centrale. Il centro di Ambositra si sviluppa tutto sulla RN7, la route nationale: l’ ‘autostrada’, o meglio l’unica strada asfaltata che attraversa il Madagascar o buona parte.
Il Madagascar è la quarta isola più grande al mondo, due volte l’Italia e con un terzo degli abitanti, 22.9 milioni. In Madagascar convivono 18 etnie diverse. Ambositra è abitata soprattutto dai Betsileo, esperti in artigianato e risaie.

Sono l’unica volontaria in sve qui in Madagascar, niente raduni di volontari, ma anche se da sola questa verifica intermedia si è dimostrata davvero importante.
Tante domande sulle aspettative che avevo prima di partire e quello che ho trovato qui, le aspettative che le persone di qui avevano su una famosa e misteriosa sve che sarebbe arrivata e il mio concretizzarmi; il capire e osservare insieme il cammino fatto, le attività organizzate e svolte, il capire i punti forti e i punti deboli.
Una valutazione intermedia che è di aiuto a me, per un bilancio e una nuova programmazione degli ultimi mesi che rimangono, e inevitabilmente è di aiuto alle persone che mi hanno accolto e seguito per un prioprio bilancio dell’accoglienza, anche per perfezionarsi con i prossimi sve.
Dopo questa verifica intermedia mi sono presa un pomeriggio per riassumere,si fa per dire, e scrivere.

La stagione sta cambiando qui: la pioggia non è piu puntualmente pomeridiana e le giornate si stanno allungando. Esco dall’ufficio e scendo le scale straripide, tipiche malgasce, e cerco una panchina all’ombra.

L’ufficio è al secondo piano di una struttura gestita dalla nostra controparte:l’Akanin’ny marary (letteralmente:rifugio del malato) . Ong malgascia che si occupa di malati di lebbra, tubercolosi, handicap fisici e malati mentali. Solitamente sono i malati più poveri che vengono qui, si fermano per alcune settimane per fare accertamenti, cure, visite, medicazioni o protesi. Nella stessa struttura oltre gli uffici dell’ong, ci sono due dormitori, il refettorio, le cucine e un punto di accoglienza in cui Madame Janette accoglie e indirizza i malati. C’è anche Suor Luigina che insieme a Suor Lala fanno le medicazioni ai malati che vivono nei dintorni.
A fianco c’è uno dei pochi atelier in cui si costruiscono scarpe ortopediche, protesi, ortesi e si fa riabilitazionee rieducazione.
Insomma è un vero e proprio porto di mare: i malati vanno e vengono, ci sono anziani, bambini con piedi ingessati, ragazzi senza una gamba o un braccio in attesa della protesi, matti, ex carcerati, lavoratori..

Parte del mio sve l’ho passato proprio qui, dedicandomi a un progetto per la presa in carico dei malati mentali. La presa in carico da parte della comunità in cui vive il malato, la creazione e il rafforzamento, quindi, delle reti comunitarie per la prevenzione, riabilitazione e rinserimento dei malati all’interno della comunità. Appoggiandosi a strutture pubbliche e statali sono due anni che il progetto lavora nella regione dell’Amoron’i Mania. Spesso il malato è emarginato dalla comunità e dalla famiglia. E’ emarginato sia perchè non si conosce la mallattia,i disturbi, le cure o anche solo non si è a conoscenza della possibilità di curarsi e sia per le credenze. Il fine è quello di creare una rete attorno al malato sia per un rinserimento una volta guarito, sia perchè usufruisca delle cure disponibili. Per fare questo il progetto percorre tre strade parallele: la formazione sanitaria ai medici, infermieri, insegnanti, direttori scolastici; la sensibilizzazione delle comunità e delle famiglia; e una strada direttamente per il malato, fatta di un percorso di cura, di formazioni agricole e l’inserimento per i bimbi e ragazzi nelle classi integrate.
Io ho seguito le classi integrate . Qui il sistema scolastico prevede una sezione in ogni scuola, chiamata ‘classe integrata’, in cui studiano tutti i bambini o ragazzi con problemi mentali o comportamentali gravi. In teoria le classi integrate sono un luogo provvisorio, in cui l’alunno impara regole di convivenza o basilari per poi essere integrato nelle ‘classi ordinarie’ o in alternativa intraprendere un percorso di formazione professionale.
In realtà: spesso i bimbi rimangono più anni nelle classi integrate perchè non ci sono educatori, assistenti sociali e i mezzi per seguirli nelle classi ordinarie e anche perchè a volte le insegnanti non sono disponibili all’integrazione.

Il progetto si estende a 25 comuni dell’intera regione e nella realtà le classi integrate e funzionanti sono pochissime rispetto ai bimbi che hanno il diritto di studiare. Sono quattro in 25 comuni. Ci son ostacoli sociali, economici, culturali e geografici. Ci sono famiglie che non hanno i soldi per fare studiare tutti i figli, e sarà il figlio più problematico a non studiare; altre famiglie si vergognano e lasciano a casa il malato, altri bimbi sono troppo lontani dalla classe integrate per poter andare.
Diritto a studiare, alla scuola, ad avere possibilità di vita che non sia l’aspettare in casa. E’ interessante notare le forti differenze che ci sono tra le famiglie che vivono in città e quelle che vivono nella brousse.
Io ho contribuito a fare formazioni e sensibilizzazioni a insegnanti, presidi, autorità locali, scuole sull’importanza dello studio di questi bambini e sulle metodologie. Portando soprattutto esempi concreti di ragazzi che avendo avuto la possibilità di studiare sono riusciti a migliorarsi, a contribuire in famiglia e anche a sposarsi. L’esempio più bello e vivente è Haingo, cieco dalla nascita: un dipendente dell’ong controparte che ha tenuto la maggior parte delle formazioni. Sposato, 3 figli, usa il computer ed è il coordinatore della comunicazione dell’ong. Fantastico: alla fine dei suoi interventi spesso concludeva dicendo è vero tutti possono studiare , ne hanno il diritto e possono condurre una vita come tutti ..guardate me.

Oltre tutto il lavoro di sensibilizzazione e formazione per l’apertura di nuove classi integrate, ho anche seguito le classi già funzionanti , come quella che c’è proprio qui ad Ambositra. La foto sopra è della festa di Natale!

Dalla valutazione intermedia ho la sensazione che tutto questo percorso sulle scuole, sulle classi integrate, il lavoro con insegnanti e con i genitori vada tutto a rilento, ‘moramora’ come si dice qui. Questa sensazione mi ha fatto da spunto per l’inizio di una riflessione più in grande, una riflessione sui progetti di cooperazione: questo progetto non è stato calato dall’alto ma si inserisce in una storia fatti di progetti e di persone, non è stato creato da persone che vivono in ufficio ma da persone e volontari immersi nella realtà che hanno compreso a fondo i problemi, i bisogni e le potenzialità della gente e del posto. Hanno capito e saputo integrare il progetto nelle reti comunitarie già esistenti e nelle strutture statali. Pensando,così, anche a una lungimiranza,una sostenibilità e continuità.

Inevitabilmente il progetto deve rispettare le tempistiche occidentali ma la realtà in cui si opera è molto diversa: soprattutto sono diverse le tempistiche, l’organizzazione, la programmazione, la cultura, le priorità delle persone e delle famiglie. Almeno qui in Madagascar, qui in questa regione il progetto a mio parere è azzeccato e tarato sulla realtà ma ho la sensazione che le persone, la società non sia ancora pronta. O almeno due anni e mezzo di progetto sono sufficienti per gettare un seme per trasmettere l’importanza e il diritto allo studio di questi bambini. Figuriamoci 8 mesi di sve..ed è qui che si inserisce la seconda riflessione: non ho messo in piedi niente di tangibile, creato niente di nuovo, niente di fondamentale, e credo che non mi fosse chiesto neanche questo e allora cos’ho fatto?!

Credo che tutto si spieghi in questo episodio:eravamo rimasti che ero seduta su una panchina appena fuori dall’ufficio..ebbene ho scritto solo le prime righe di questo articolo, perchè appena 5 minuti dopo FetySoa, mia coetanea, è venuta a sedersi nella stessa panchina. FetySoa abita qui al foyer da circa due settimane, è un po mattarella ed è troppo simpatica! Bè ha un hobby alquanto particolare: fa freestyle in malgascio. Se dopo 5 minuti si è seduta vicino a me, dopo 8 la scena era questa: lei in freestyle malgascio, io che scrivevo al meglio le sue rime sul quadernoe altri cinque intorno ad ascoltare e a correggermi il mio malgascio…Tutte persone che conosco, con cui tutti i giorni faccio due chiacchiere. E poco dopo è passato un dipendente dell’ong ed è scoppiato a ridere un pò meravigliato di quello che stessi facendo.

Direi che ho fatto questo: ho avuto il tempo di sedermi e creare relazioni con i malati, di fare delle chiacchiere, conoscere i loro problemi e avere così uno spaccato su cosa vuol dire essere malato in Madagascar. E questa riflessione si estende anche al di fuori del progetto: creare relazioni con i vicini, con i bimbi della via, con i carcerati (ogni domenica andiamo a messa in carcere), con gli ospiti in casa di carità. Forse possono sembrare scontate queste cose.. ma per creare delle buone relazioni c’è prima bisogno di capire la cultura,i modi di fare, i fomba, la lingua diversa per cercare di entrare senza fare troppi danni in una nuova cultura.
E non è poi così semplice e scontato lasciarsi mettere in discussione dalle persone che si incontrano, soprattutto se le persone che incontro sono molte povere che inevitabilmente hanno qualche richiesta materiale da farmi..lasciano sempre qualche domanda sulla povertà, sulle responsabilità che abbiamo, sulle potenzialità che ci portiamo dietro dall’Italia, sulla vita qui. E se l’incontro con ogni persona mi lascia sempre qualche domanda, uno spunto scomodo..anche il mio essere qui lascia negli altri delle domande.

Ed è stato bello capire, anche grazie alla valutazione intermedia, l’importanza di essere volontari qui per i malgasci che mi sono attorno, importanza non scontata. La curiosità di capire il perchè una 23enne decide di venire qui come volontaria, chi è un volontario, cos’è uno sve, dov’è la mia famiglia, perchè non sono ancora sposata e non sono neanche suora, perchè mi sono dedicata allo studio del Malgascio: tutte domande che mi sono state fatte più volte da persone diverse!

Oltre che questo progetto sulle ‘Reti comunitarie per la prevenzione e la riabilitazione psichiatrica nella regione dell ‘ Amoron’i mania’, il resto del mio sve l’ho passato in casa di carità di cui avevo già scritto un articolo.

Buon ultime mesi di sve a tutti voi!

Lascia un Commento