Al final de este viaje…

Al final de este viaje è una canzone del 1978 che dà il titolo ad uno degli album più belli e conosciuti del cantautore, chitarrista e poeta cubano Silvio Rodríguez.  Al final de este viaje è però diventata anche la domanda che ogni volontario che, come me, è  quasi giunto alla fine di quest’esperienza, è costretto inevitabilmente a porsi.

E’ tempo di bilanci, o forse no. L’espressione fare dei bilanci non mi è mai piaciuta, forse perché mi spaventa, sta a significare che si è concluso qualcosa e che è giunto il tempo di dover ricominciare di nuovo tutto da capo ed alla fine mi sembra di ritrovarmi sempre allo stesso punto, senza mai riuscire a fare dei passi in avanti. In realtà non credo che esista un tempo stabilito per fare dei bilanci.

Per quanto riguarda quest’esperienza sono convinto che, in fondo, giorno dopo giorno, ogni sera prima di addormentarci ognuno di noi abbia fatto i conti con quanto messo in campo e fatto di positivo durante le giornate appena trascorse.

Eppure ci risiamo quella domanda ti rimbomba nella testa, è quasi un tormento, non puoi fare a meno di provare a trovarle risposta. Sono trascorsi otto mesi, continuo a chiedermi, quasi ossessivamente, come il tempo possa essere passato così velocemente e cosa sono riuscito concretamente a fare. Forse non lo so o forse si.

So per certo che quest’esperienza mi ha arricchito molto soprattutto dal punto di vista umano, su questo non ho alcun dubbio, ma è normale che sia così e non ho alcun merito al riguardo, posso solo ritenermi fortunato. Senz’altro porterò con me il ricordo dei bimbi, i loro sguardi, gli abbracci, i pianti e i sorrisi.DSC07983

La forza d’animo e l’abnegazione di alcuni genitori, il loro amore incondizionato e la voglia di reagire e di guardare avanti in situazioni limite che forse non avrei mai potuto neppure immaginare prima di giungere qui.

Ho avuto l’onore di lavorare con alcune insegnanti che realmente credono nel proprio lavoro e che si sono dimostrate tenaci e determinate, pur di fronte a difficoltà quotidiane apparentemente insormontabili e materne e amorevoli nel prendersi cura dei propri bambini. Queste persone mi hanno dato davvero tanto.20131018_121109

Allora il punto è un altro, ero qui per me o ero qui per un altro motivo? Penso per entrambe le cose. Ma cosa ho fatto io durante questi otto mesi di lavoro e cosa in più avrei voluto o potuto fare?

E allora la riflessione si fa più profonda. Qual’è il reale obiettivo di questi progetti? Sono pensati solo per noi giovani comunitari europei, per darci un’ulteriore opportunità di crescita personale e professionale o in realtà si prova davvero a creare qualcosa di buono e persiste la convinzione che un cambiamento reale sia possibile? Purtroppo credo sia innegabile, i limiti di questi progetti sono tanti (tempi limitati, mancanza di continuità, programmazione approssimativa etc.) e non basterebbe un solo articolo per analizzarli tutti con la dovuta attenzione. Di sicuro però non è questo l’oggetto del mio dibattere e mi sembrerebbe anche ingiusto e piuttosto superficiale giustificare la frustrazione ed il senso d’impotenza che spesso mi hanno accompagnato negli ultimi tempi, limitandomi alla sola critica progettuale.

A volte mi sembra di essere completamente nel pallone e di non sapermi dare nessuna risposta. Sono però convinto di una cosa: non esiste il supervolontario e chi crede di poter cambiare le cose da solo, in qualche mese di lavoro è un folle o un illuso. Io non ci ho mai creduto, dal primo giorno in cui sono arrivato in Perù ho solo cercato di fare del mio meglio pur sapendo che molto probabilmente il mio meglio sarebbe servito a poco o nulla, perché sono solo un assistente sociale volontario impegnato in quattro delle otto scuole CEBE di Caritas Arequipa, solo questo, e per di più  per un tempo dannatamente limitato.

Al di là di tutto, rimane la consapevolezza nel fatto che cercare di cambiare le cose è un processo che richiede tempo, pazienza e tenacia ed io posso solo augurarmi di essere stato almeno un piccolo granellino di sabbia, uno dei tanti, che scorre nella clessidra del tempo e che alla fine di un tempo, mi auguro non troppo lungo, contribuirà a capovolgere questa realtà. In fondo, anche se faccio fatica ad ammetterlo, sono un romantico, ma soprattutto un sognatore e credo ancora nell’eroismo del piccolo gesto. Forse è questa la risposta, non ne sicuro, ma mi piace pensarlo e come scriveva Rodríguez nell’ultima strofa della sua canzone…al final del viaje està el horizonte, al final del viaje partiremos de nuevo, al final del viaje comienza un camino, otro buen camino que seguir descalzos contando la arena.

 

 

 

 

Questo articolo è stato pubblicato in Educate Vocational Solidarity, Perù da Filippo Matonti . Aggiungi il permalink ai segnalibri.

Informazioni su Filippo Matonti

Ha 29 anni e vive a Cava de' Tirreni (SA). Ha conseguito la Laurea Magistrale in Servizio Sociale e Politiche Sociali presso l'Università di Napoli Federico II ed è Assistente Sociale Specialista iscritto all'albo A. E' fermamente convinto che incontrare l’Altro e la diversità, in qualsiasi forma essa si manifesti, costituisca un’opportunità di crescita unica e il punto di partenza per una vera rivoluzione culturale e di valori.

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