Da gennaio ad aprile a Puno piove, stiamo nella stagione delle piogge. Le strette vie si trasformano in torrenti in piena e il traffico, tra clacson e urla, congestiona tutta la città. Puno è una città piccola ma graziosa, con due piazze principali dove la domenica anziani e madri si fermano a leggere un libro o a fare un cruciverba. Godono del forte sole che a 4000 metri scalda anche il marmo più freddo del piccolo monumento in mezzo ad una delle due piazze ma che in pochi secondi, quando le nuvole giungono, tutto si incupisce, ed i bambini che scorrazzano sono costretti a indossare un gorro (un cappello di lana) o un maglione.
In questa piazza, Parque Pino, facilmente si riesce ad avere un’idea di come l’economia di Puno si alimenti: donne che vendono la famosa gelatina rossa coperta di panna, uomini anziani che vendono cioccolato, caramelle e sigarette, mentre i bambini aiutano le loro madri a vendere ombrelli, cappelli, dolci, empanadas e tè caldo. La maggior parte della popolazione è impegnata in questo tipo di attività, mentre un’altra larga parte fa parte del settore del trasporto, tra conducenti di mototaxi, taxi, combi (piccoli bus) e cobrador (coloro a quali si paga il biglietto), a Puno l’atmosfera è tranquilla ma dinamica.
Molti di quei bambini che per settimane ho visto scorrazzare in giro vendendo salteñas, tamales e golosinas, o gli altri più grandi che mi hanno chiesto di pagare il passaggio in combi, sono alunni dell’istituto educativo San Antonio de Padua.
Margot ha 13 anni, vive con la mamà e il suo compagno; le due sorelle che ha stanno studiando fuori Puno e lei durante il fine settimana fa la cobradora in uno dei tanti combi di Puno, inizia a lavorare alle 6 di mattina e finisce alle 8 di sera. Sta frequentando l’ultimo anno nell’istituto e ha una grande voglia di imparare l’inglese per poter un giorno parlare con i suoi idoli americani e poter viaggiare.
Esther ha 7 anni, frequenta la seconda elementare e porta degli occhiali viola che la fanno spiccare tra le altre bambine. Appena mi vede corre ad abbracciarmi e mi chiede come sto e cosa ho fatto il giorno prima. Le piace il rosa e giocare a pallavolo. La mamà vende il tè caldo la sera per strada e lei appena torna da scuola sta tutto il giorno a casa da sola, si cucina il pranzo e dalle 7 fino a mezzanotte assiste la mamà nella vendita del tè.
Milton frequenta la quinta elementare, vive nel cerro molto lontano dalla scuola, prende una combi da solo che in un’ora e mezzo lo porta a scuola. Adora giocare a pallone, sotto l’uniforme scolastica ha un completino da calcio acetato che mostra a tutti i suoi amici durante l’ora della ricreazione. Mi chiede sempre i nomi dei famosi giocatori italiani ed è molto curioso sulla posizione geografica dell’Italia. Non gli piace la matematica, ma anche lui vorrebbe imparare l’inglese. Non conosce il padre, la mamà vende hamburger per strada e appena esce da scuola si dirige al mercato centrale e aiuta la mamma a farcire i panini. Alle 9 e 30 di sera rientrano in casa.
Tutti i bambini di questo istituto hanno vite simili, lavorano dall’età di 6 anni, hanno storie di maltrattamento alle spalle e alcuni vivono con parenti che non si occupano di loro. Però quando parlano di quello che hanno imparato a scuola o del loro lavoro, lo fanno con fierezza, mostrando quanto hanno guadagnato dalla vendita delle caramelle o dalla vendita delle empanadas. Si percepisce la loro contentezza nel raccontare a me e ai loro professori come sono stati abili a vendere i loro prodotti.
Allo scoccare della campenella, i ragazzi si alzano frettolosi dai minuscoli banchi, chiudono i quaderni, prendono i loro zaini pronti per un pomeriggio ricco di conquiste.