9:08, Aula di primo grado, istituto San Antonio de Padua. I bambini sono 5: Conrad, Claudia, Sarai, Jason e Rosa. Stanno componendo dei puzzle di legno. Dalla finestra si sentono le urla dei venditori ambulanti e il baccano dei ragazzi di quinto grado al piano di sopra. L’aula è fredda, io e la professoressa Nelly rimaniamo con i cappotti.
I bambini di primo grado sembrano spaventati e non parlano, rimangono in silenzio, alcuni piangono perchè la mamma se n’è andata lasciandoli soli. Le sedie sono basse e le mie ginocchia sbattono sul tavolino.
Mentre cercano di comporre i puzzle sono in silenzio, ognuno lavora per sè. Vorrei poter dire: parliamo! parliamo! raccontami quanti fratelli e sorelle hai! Cerco, prudentemente, di fare qualche domanda ma non ottengo risposte.
Ci sono molti tempi morti. Penso che sarebbe meglio mettere una musica di sottofondo per stimolarli, utilizzare questi puzzle per poter parlare dei colori raffigurati, delle lettere, dei numeri, delle espressioni dei personaggi.
La professoressa mi da dei fogli sbiaditi con dei disegni rappresentati, mi dice di unire i puntini, ripassarli con un colore scuro per poi poter fare delle fotocopie. Sono seduta, unisco i puntini e nella testa continuano a balenare un centinaio di idee su come tutto potrebbe funzionare in maniera più efficiente, di come questi momenti di puro silenzio potrebbero trasformarsi in situazioni di apprendimento comune e di come questi bambini invece che lasciati passivi, potrebbero essere coinvolti e spronati.
Rimango assorta sulla sbavatura del disegno e mi rendo conto che stiamo solo alla seconda settimana, che ho visto poco e che soprattutto conosco poco.
Abbasso lo sguardo, finisco di unire i puntini e mi esce un grande fiore giallo.