Sto iniziando a conoscere un po’ meglio l’associazione dove lavoro e le persone che ne fanno parte, si chiama Serpaj-e (Servicio Paz y Justicia del Ecuador), organizzazione che cerca di costruire una societa’ piu’ giusta attraverso l’educazione alla cultura di pace. Come in molte associazioni la struttura non e’ gerarchica, ci si parla con franchezza, sempre che uno riesca a capire lo spagnolo rápido che parlano i quiteños: partecipiamo cosi’ tutti insieme ad un taller (laboratorio) di confronto e scambio sul tema cos’e’ cultura di pace e cosa limita la sua costruzione, questo per avere un linguaggio comune da condividere. La facilitatrice si chiama Susi, e’ un membro storico del Serpaj-e e ha molta esperienza di educazione alla risoluzione non-violenta dei conflitti con bambini, giovani e adulti, e nonostante questa grande esperienza, come Paulo Freire insegnava, e’ sempre pronta al dialogo e ad imparare dalle persone che ha di fronte. Sotto la guida di Susi ci mettiamo in gioco: prendo fogli, pennarelli, colla e forbici per disegnare quello che per me e’ un “essere umano”, primo passo del taller: ci confrontiamo sui disegni fatti dai partecipanti, sulle caratteristiche e sul minimo comune denominatore del nostro essere parte di un’unica famiglia umana.
Con il metaplan (post-it anoni mi da attaccare alla lavagna) riflettiamo su cosa e’ per noi cultura di pace e sugli ostacoli da superare, binomi che in Ecuador si toccano con mano: supremazia dell’uomo sulla donna (genere), dell’adulto sul bambino (generazionale), ricco sul povero (clase), del bianco sull’indigeno, andino ecc. (étnico), dell’uomo sulla natura (ambientale), sulle barriere legate all’aspetto físico (fenotipo). Susi ci guida attraverso l’idea del Serpaj-e per un nuovo sistema educativo per costruirCi come persone cooperanti e empoderadas (come nell’idea di empowerment di una comunita’): norma e non regola, disciplina e non obbedienza, correzione e non castigo, autorevolezza e non autoritarismo, rispetto e non sottomissione. Finito questo breve racconto del taller, ritorno ai miei questionari da analizzare: pazienza se in questo momento si e’ in fase di rendicontazione dei progetti in corso (con molte ore passate davanti al pc), visto che vorrei fare taller con bambini e ragazzi, piu’ per imparare che per insegnare cos’e cultura di pace, condividendo tra compañeros/as, disegnando e giocando anch’io con loro. Taller e’ una parola spesso usata con molteplici significati in Ecuador (dal laboratorio all’officina del meccanico), e rende bene l’idea di costruzione di un cammino che vorrei mi portasse verso un orizzonte nuovo; forse, come dice il mio collega ecuadoriano Leonardo, bisogna avere un orizzonte (piu’ ampio) e non aspettative (che imprigionano) rispetto ad un cammino che si cerca di percorrere. Mi piace l’idea dell’orizzonte, mi fa pensare ai bei tramonti delle sere di Quito. Non sai mai cosa c’`oltre l’orizzonte.