Una domenica tranquilla

Da quando siamo arrivate a Sullana, la cittadina in cui svolgiamo il nostro SVE fino a dicembre, io e la mia compagna di avventure Diana ci siamo sentite un po’ come delle aliene.

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Qui non ci sono molti gringos (parola con cui i latinoamericani definiscono tutte le persone di pelle bianca) anzi si possono contare sulle dita di una mano…già due sono troppe.

Questo ci porta, sebbene lo evitiamo il più possibile, ad essere sempre al centro dell’attenzione. Ogniqualvolta che camminiamo per la strada, lo sguardo (fisso o perplesso) della gente ci fa capire come sono incuriositi dai nostri visi pallidi. Così, quando ti vedono, dopo averti fatto le classiche domande: “di dove sei? Come ti chiami? Cosa ci fai qui?”…arriva la fatidica domanda che, nei primi mesi di permanenza in questo ridente paesino, ci metteva sempre un po’ in imbarazzo: “Ya le han asaltado?” (Già vi hanno rapinato?). Insomma, come domanda di benvenuto non è certo delle più rassicuranti, ma dopo i primi momenti di PANICO-PAURA, uno se ne fa una ragione sapendo che prima o poi verrà “battezzato”.

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Se fino a qualche giorno fa rispondevamo: “No, per fortuna ancora non c’è successo nulla!”

Bhe…ORA ABBIAMO UNA NUOVA AVVENTURA DA RACCONTARE O PER DIRLA MEGLIO DA CONDIVIDERE NEL BLOG SVE!!

C’è da dire che il nostro battesimo della delinquenza sullanera è stato molto veloce, così veloce che non ce ne siamo quasi accorte.

Mentre noi tranquillamente proseguivamo per la nostra strada, i nostri amici peruviani (che avevano capito cosa stava succedendo) si sono presi la peggio; neanche il tempo di girarci e i poveretti erano stati derubati di tutti gli averi, minacciati con un coltello e ad uno dei due che aveva opposto resistenza, gli hanno risposto con una pietra in testa e una ferita da quattro punti.

Decalogo utile per evitare la rapina o renderla più pacifica possibile:

  1. Non chiamare mai l’attenzione: andare in giro con cellulari di ultima gamma, iniziare a fare foto per pubblicarle nel FB etc etc…ecco non è un’idea vincente. Stessa cosa vale per gioielli, portafogli etc.

  2. Avere con se il minimo indispensabile, giusto quei 10 soles se devi comprare qualcosa e da cedere nel caso ti rapinassero.

  3. Per le donne: il reggiseno è una perfetta borsa però mimetizzata, non avete idea di quante cose si possono nascondere. Portamonete, chiavi, fotocopie documenti, un set da 24piatti da cucina…chi più ne ha più ne metta.

  4. Non opporre MAI resistenza, solo si corre il rischio che a parte di rapinarti possono farti anche del danno

  5. Non traumatizzarsi, è difficile, però si uno si fa prendere dalla paura rischia di chiudersi in casa e non uscire più.

Un “assalto” pensate forse che poteva essere sufficiente per finire la serata in bellezza? (non ci è bastato) Certo che no, abbiamo deciso di fare la denuncia in commissaria. Luogo che normalmente dovrebbe trovarsi al centro della città o per lo meno in un luogo illuminato. A Sullana, invece, l’unica sicurezza che hai è che se non ti hanno rapinato prima, di cammino alla commissaria c’è una buona percentuale di probabilità che lo faranno…per fortuna noi eravamo già apposto.

La denuncia si è svolta nell’indifferenza più totale da parte dei poliziotti, forse perché ormai troppo abituati a questa tipologia di routine.

Dopo questa veloce tappa, ci siamo dirette all’ospedale, dove si è svolta la parte più avvincente delle nostra domenica notte: il clou della serata! Visto che uno dei nostri amici ha opposto resistenza (vedere punto numero 4) siamo dovuti andare all’ospedale pubblico per medicarlo.

L’ospedale pubblico una struttura che dopo averla vista e soprattutto averne scoperto il funzionamento, mi ha fatto letteralmente accapponare la pelle e anche i più scettici, vi assicuro, inizierebbero a pregare per sperare di non metterci mai piede.

Arrivati nel piazzale dell’ospedale il panorama che ci attende è di una trentina di persone distese per terra, nelle panchine, sotto le panchine etc. Tutti che si coprivano con delle coperte fino alla testa e cercavano di riposare un po’ nell’attesa di avere notizie dei familiari.

Entriamo, anche lì stessa scena della commissaria, nella completa indifferenza vedo che scrivono su un foglietto delle cose e me lo danno. Io sono rimasta sbalordita con questo foglietto e alla mia richiesta di spiegazioni mi rispondono: “Devi andare in farmacia a comprare i prodotti per curare la ferita del tuo amico”. No sapevo se ridere, piangere, vedere se era una candy camera…però era la pura realtà, nel bel mezzo della notte in giro per la farmacia dell’ospedale e quelle vicine a comprare disinfettante, ago, garze etc.

Finalmente con il pacchettino nelle mani lo consegno all’infermiere e mentre curano il mio amico, decido di mettermi a chiacchierare con la guardia di sicurezza e qualche parente dei pazienti che mi portano a scoprire alcuni elementi:

  1. Non puoi venire in ospedale senza parenti, perché magari a un certo punto servono delle medicine e qualcuno dovrà pur andare a comprarle;

  2. A parte comprare le medicine devi pagare il “servizio” quindi non si può andare in ospedale senza soldi, altrimenti l’ospedale ti sequestra finché non paghi.

Decido di confidarmi con un signore e gli racconto la notte che abbiamo vissuto e lui, tra sguardi di comprensione e consigli vari, ad un certo punto si alza la maglietta e mi mostra una pistola (Claro, in casi di necessità una pistola fa sempre comodo).

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Per concludere non è stata proprio una seratina spensierata! Tutto ciò mi ha portato a riflettere e chiedermi:

  • come sia possibile che la gente debba essere costretta a trovare dei metodi per difendersi;
  • perché non c’è nessuno pronto ad aiutarli poiché, spesso e volentieri, i poliziotti sono i primi da cui riguardarsi.

E ciò che davi per scontato, come può essere la salute pubblica, spesso non lo sia. Qui per curarti devi avere una buona base economica che, in un contesto in cui una gran parte delle persone vive o meglio dire cerca di sopravvivere, la gran maggioranza della popolazione non ha.

Questo post non è per lasciare l’amaro in bocca a nessuno; anche queste esperienze, che ti possono capitare nel cammino dello SVE, bisogna accettarle, digerirle e ricordarsi che:

  • in sei mesi per un “assalto” ricevuto sono infinite le persone che si preoccupano per te, che ti consigliano, che ti guidano e che anche loro, come te, vorrebbero solo poter vivere con un po’ di tranquillità;
  • ci sono numerose reti di solidarietà che si attivano per cercare di supportare le spese mediche delle famiglie organizzando “parrilladas” (grigliate), “polladas” (piatti pollo allo spiedo) etc.

La vida sigue, come dicono qui da noi devi “Cuidarte” e si continua il viaggio…

 

Questo articolo è stato pubblicato in Children: right to future!, Perù e contrassegnato come da Daniela Conte . Aggiungi il permalink ai segnalibri.

Informazioni su Daniela Conte

Ciao! Mi chiamo Daniela e sono di un ridente paesello dei Castelli Romani. Da quando ho 19 anni ho inziato a vagabondare portandomi dietro una laurea in Cooperazione allo Sviluppo, un servizio civile in Caritas, viaggi in Europa e progetti internzaionali in Zambia e Honduras: Insomma un bagaglio pieno di esperienze e ricordi. Adesso inzio, entusiasta, questa esperienza Peruviana, che vi racconteró in queste pagine. Che dire di piú? Sono curiosa, creativa e mi piace conoscere/immergermi in nuove culture. A presto!

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