In queste settimane Carmen, Julio e io abbiamo lavorato con i ragazzi e con le ragazze dei centri giovanili di riabilitazione e diagnostici di Lima, ossia le nostre carceri minorili, quelli che una volta – in Italia – si chiamavano riformatori. In tutti e due i centri, quello maschile e quello femminile, abbiamo avuto la possibilità di operare, ma solo con i giovani dell’ultimo programma, destinato a chi ha mantenuto una buona condotta.
Il lavoro consiste nel tenere un minicorso di gestione d’impresa. Attraverso dinamiche, video e spiegazioni si insegnano le basi per gestire e mantenere un piccolo negozio. Si insegnano quali sono i costi – preoperativi e operativi –, lo studio di mercato, il marketing, si insegna come fare una proiezione delle vendite e come gestire un flusso di cassa. Si tratta di un corso esclusivamente educativo-formativo, infatti questi temi vengono sostenuti da pilastri fondamentali: l’economia solidale, il rispetto del medio ambiente, il progetto di vita. Si cerca, insomma, di fornire una base educativa sia sul piano personale sia professionale.
Non ero mai entrato dentro un carcere. La prima impressione ovviamente non è stata delle migliori. M’è sembrato di ritrovarmi all’interno del film “Le ali della libertà”. Un spazio enorme, incorniciato da una parte dal un alto muro intimidatorio e dall’altra da edifici bassi, monocolore, non costruiti certo con una finalità estetica. In mezzo a questo spazio un praticello dove i ragazzi, rigorosamente in divisa, stavano tagliando l’erba in una maniera molto particolare: ognuno seduto per terra con un paio di forbici tagliando il proprio pezzettino di venti centimetri quadrati. Altri ragazzi in fondo facevano esercizi di ginnastica e altri ancora si stavano tagliando i capelli a vicenda, appoggiati contro il muro.
All’interno del carcere, quello maschile, ci sono circa settecento ragazzi che vengono da tutto il Perù, però coloro che sono stati ammessi nell’ultimo programma, che si chiama Programma Don Bosco, sono appena trentaquattro, e di questi i ragazzi interessati al nostro corso sono stati dieci.
Il primo giorno di lezione ero un po’ intimorito. Mi chiedevo come avrebbero guardato al giovane europeo che arriva tra loro con la magliettina pulita e i jeans, della sua vita privilegiata in cui non ha dovuto affrontare grandi problemi. Ma subito ho scoperto che i miei timori erano totalmente infondati. Javier, Erineo, Nayngon, Agapito, Jairo, Jemser, Walter mi hanno trattato con una gentilezza, un rispetto, un’educazione che mi ha lasciato sbalordito. Sono ragazzi di 18, 19 anni con una voglia di apprendere, di conoscere che io alla loro età non ho mai avuto. Si aiutano costantemente l’un l’altro come se fossero una persona sola.
Su ogni muro e su ogni porta un disegno di Paperino ripete sempre la stessa frase, le stesse parole d’ordine: “Non lasciare per domani quello che puoi fare oggi”.
Più passavano i giorni più mi domandavo come fosse possibile che questi ragazzi avessero compiuto, in un recente passato, qualche crimine. Alcuni mi hanno spiegato che una volta che entri in un carcere sono solo due le strade che si possono scegliere. C’è chi si rende conto di avere commesso un errore e cerca di sfruttare il tempo a disposizione cercando di imparare il più possibile, c’è chi invece conta i giorni sapendo che una volta uscito ricomincerà con le stesse cose da cui è stato strappato.
Il problema però è sempre lo stesso che si ha quasi in ogni paese: la riabilitazione, scritta solamente nella carta e non sempre nella pratica. Una volta fuori questi giovani non riescono a trovare un lavoro. La permanenza in un carcere gli si imprime addosso come un marchio e la gente non vuole offrire una seconda possibilità a chi è stato marchiato. Addirittura alcuni ragazzi chiedono di restare all’interno del programma Don Bosco perché fuori non hanno niente e hanno paura di ritornare nei vecchi giri.
Mentre il mattino lavoravamo con i maschi, il pomeriggio ci recavamo nel centro giovanile femminile che si trova solo a pochi isolati di distanza per svolgere lo stesso progetto.
Le ragazze, in questo centro, sono meno numerose, cinquantaquattro. E nell’ultimo programma solo sette. Ho ritrovato le stesse caratteristiche e la stessa voglia manifestata dai compagni maschi. Anzi, con loro mi sono trovato ancora più a mio agio. Tutte molto tranquille, con voglia di fare battute, di sparlare scherzosamente della direttrice, di ridere e conoscere parole in italiano.
Anita, una delle giovani, è madre e la sua bimba di quattro anni vive con lei, nel carcere, venendo coccolata da tutte.
Vanessa è di Chorrillos, uno dei “quartieri piccanti” di Lima. Ha lo sguardo duro, come il personaggio del film Nikita, con una fierezza invidiabile.
Liz sembra uscita da una biblioteca, Rosa da una pasticceria.
Ancora una volta mi chiedo che cosa avranno mai commesso. Julio e Carmen, i miei compañeros di lavoro, mi dicono che di solito vengono sempre arrestate perché spacciano, fanno i corrieri della droga.
Alla fine della settimana le ragazze hanno elaborato tre diverse idee di negozio. Lavoreranno in coppia. Alcune produrranno cioccolatini tipici, altre panini e insalate di frutta. Liz e Mariluz invece dei piccoli prodotti in legno. Cercheranno di venderli durante i giorni di visita dei parenti, quando il carcere si popola di gente. Invece i ragazzi avranno la possibilità di aprire un piccolo baretto all’interno del carcere. Il direttore è una persona che ha molto a cuore il destino dei ragazzi e cerca di far di tutto per offrirgli delle possibilità concrete una volta terminato il loro “soggiorno”, come gli piace dire scherzosamente. Molti prodotti si potranno vendere anche al personale che lavora all’interno e i giovani potranno mettere da parte qualche soldo per quando usciranno.
Durante l’anno continuerò ad andare a trovarli per vedere come prosegue la loro attività, se hanno avuto problemi, come li stanno affrontando, se stanno avendo un guadagno, e per portare loro i materiali e i prodotti di cui hanno bisogno.
L’8 marzo siamo stati invitati nel carcere maschile, dove i ragazzi del Programma Don Bosco hanno potuto organizzare una piccola rappresentazione per festeggiare il giorno internazionale della donna. I ragazzi si sono esibiti in balli, performance musicali e recita di poesie. Alla piccola festa hanno partecipato tutte le donne del personale del carcere e anche alcune madri dei ragazzi. Alcune si sono commosse. Ho visto nei loro occhi un orgoglio che, certo, avrà ricompensato i ragazzi dei tanti sforzi che stanno facendo per costruirsi un nuovo futuro.