Negli anni Ottanta, l’UNICEF ha stabilito una classificazione secondo la quale si possono distinguere i ragazzi di strada in due categorie: the children on the street and the children of the street. Appartengono alla prima categoria i bambini che lavorano tutto il giorno sulla strada, ma tornano a casa la sera per dormire. Appartengono alla seconda categoria i bambini che vivono permanentemente in strada, anche di notte.
Ritrovo la classificazione di cui ho letto e studiato tanto in questa foto, frutto della mia vita a Debre Markos day by day.
Il ragazzo a sinistra appartiene alla prima categoria, è un child on the street. Si chiama Abebe, ma l’ho rinominato Alessandro perché ha lo stesso identico sguardo di un ex-alunno in Italia…ormai tutti lo chiamano così. Abebe vive da sempre in questa città assurda e bellissima. Abita con la madre e una sorella più piccola di lui nello stesso quartiere dove si trova il mio ufficio. Del padre non si sa nulla, inutile cercare di approfondire la questione. Un giorno mi decido a chiedergli perché se ne sta sempre in strada, lo troviamo anche alle sei del mattino, sotto la pioggia scrosciante, o quando cala la notte… dice di avere una casa ma l’impressione è che la sua casa sia questo marciapiede consumato di fronte a uno degli hotel più lussuosi di Debre Markos. Non ha bisogno di molte parole per spiegare la situazione. A casa lui è l’unico uomo , e sua madre è molto povera, si mantiene vendendo pannocchie abbrustolite ai bordi della strada… difficile sfamare una famiglia, difficile per Abebe chiedere soldi, vestiti o altro a questa donna. E così passa il suo tempo qui, in mezzo agli altri steet children, lavorando come può, appena può. A volte lo vedo correre dietro a un minibus che sta per fermarsi, pronto a caricare i bagagli dei passeggeri; a volte lo vedo spingere il pneumatico di un camion, o pulire le scarpe dei passanti. Moltissime volte lo vedo semplicemente seduto in mezzo al “branco”, o impegnato in un’improvvisata partita di calcio con una vecchia bottiglia che fa da pallone.
Il ragazzo a destra appartiene alla seconda categoria, quella dei children of the street. Si chiama Abathun, viene da un villaggio sperduto nella campagna che circonda Debre Markos… è orfano di madre, viveva solo con suo padre. Un giorno si è stancato delle violenze domestiche, della vita povera del villaggio, e ha deciso di partire per la grande città. Mi racconta di essere qui da circa un anno. Ogni giorno lo guardo e mi chiedo se le sue aspettative sono state soddisfatte. È un ragazzino difficile da avvicinare, detesta le istituzioni, le autorità, non appena sente un minimo controllo o pressione si allontana. Ha il tipico piglio del leader, anche se è uno dei più piccoli del gruppo, e spesso lo vedo stupirsi come un bimbo di fronte alle cose più banali: il suo riflesso in uno specchio, una videochiamata in Italia, il racconto del mio viaggio in aeroplano. Lavora come può, come Abebe, e di notte dorme sul famoso marciapiede consumato… durante questi mesi mi è capitato spesso di trovarlo rannicchiato sotto la sua coperta a scacchi neri, restio ad aprire gli occhi nel mezzo della confusione di Debre Markos.
Guardo la foto e ripenso ai rapporti dell’UNICEF, alle teorizzazioni e alle categorie, e mi stupisco di trovarmi nel mezzo di questa realtà. Di sentirmi a mio agio in mezzo ai loro volti, già così familiari. E credo che questo scatto rubato alla strada ci regali un’immagine che supera tutte le nostre teorie e idee, e supera la durezza della vita in cui questi ragazzini loro malgrado si sono ritrovati. Perché mostra la loro forza, che nasce dal legame che li unisce e in poco tempo li rende come fratelli, al di là delle categorie esterne, delle differenze nella loro storia. Fratelli sulla strada, fratelli della strada…brothers on the street, brothers of the streets.