La mia esperienza in Ecuador

Ciao a tutti e a tutte, mi dispiace non poter condividere di persona nella riunione del 12 Maggio pv la mia esperienza in Ecuador, ma proverò a fare del mio meglio. silvia gadda

Ho passato lo scorso anno a Cuenca, cittadina nel suddella sierra ecuatoriana, prestando servizio presso la Fundacion Maria Amor, che gestisce una casa rifugio per donne che hanno subito violenza di genere. Oltre all’accoglienza, la fondazione offre alla donne sostegno psicologico, consulenza legale e formazione lavorativa, e proprio in quest’ultimo ambito si inserivano le mie attività come volontaria.

Nel corso dell’anno ci sono stati momenti molto diversi tra loro: i primi mesi di ambientamento, in cui ho cercato di capire dove mi trovavo e quali erano le richieste nei miei confronti, ed ho iniziato a conoscere le donne accolte. Poi, quando abbiamo iniziato ad ingranare nel rapporto e nelle attività, è stato tutto interrotto, per rispondere ad altre esigenze. In quel periodo infatti la fondazione era in fase di apertura di due piccole imprese, una lavanderia ed una caffetteria con servizio catering. Era necessario organizzare traslochi, imbiancare, fare piccole manutenzioni e gandi pulizie… e questo ho fatto (esclusivamente questo!)  per oltre due mesi, assieme ad un’altra volontaria statunitense.  E’ stato un momento molto duro, in cui il rapporto con le donne si è indebolito molto perchè non facevamo più alcuna attività insieme e non ci vedevamo più. Oltre a questo, si è creata una situazione di forte tensione con le colleghe, che non prestavano nessuna attenzione alla nostra situazione di disagio ed alle nostre richieste di confronto, ed hanno anzi iniziato a metterci sempre più sotto pressione per “rimetterci al nostro posto”. Per fortuna questo trasloco è finito, e abbiamo aperto la nostra lavanderia e la nostra caffeteria. Nella foto siamo appunto in caffetteria, con alcune delle donne che lavoravano nelle imprese della fondazione. Da li in avanti la mia attività principale è stata di accompagnamento alle donne che svolgevano i turni di lavoro, unita all’organizzazione di alcuni laboratori su temi come il servizio al cliente, il lavoro di gruppo, la comunicazione…. e ad alcuni laboratori di attività ricreative. Purtroppo la risposta al conflitto nei mesi precedenti (ovvero impegni assunti formalmente e mai messi in pratica) mi ha portata a non avere più alcuna fiducia nelle mie colleghe di lavoro, e quindi a cercare spazi dove poter portare avanti le attività senza formalizzarle.

E’ stato un anno molto duro, non solo perchè il contatto quotidiano con donne vittime di violenza ti porta a vivere dei momenti emotivamente pesanti, ma anche e soprattutto per i rapporti con le colleghe ecuatoriane. Purtroppo infatti la realtà di questa organizzazione è ben diversa da come si presenta: si presenta come un progetto rivoluzionario, con una metodologia di lavoro orizzontale, ma nei fatti si tratta di un’organizzazione estremamente gerarchica, attenta all’immagine, alla reputazione e ai soldi, più che ad ottenere dei risultati concreti con  le donne che segue. Questo ovviamente creava in me un senso di grande frustrazione e rabbia. Inoltre ci siamo scontrati con un’idea di volontari/e molto diversa da quella che abbiamo noi europei/europee. Infatti mentre secondo la nostra visione, e ancor più sotto la visione dello sve, il volontario o la volontaria è quella persona che non solo aiuta con il lavoro operativo, ma che viene coinvolta nelle decisioni, ascoltata e considerata come parte a tutti gli effetti del gruppo di lavoro, secondo la visione della fondazione invece è la persona che aiuta esclusivamente come “braccio” operativo, e l’aiuto consiste nell’eseguire – o interrompere all’occorrenza – qualsiasi tipo di attività seguendo le indicazioni di chi ha preso le decisioni, senza possibilità di avere voce in capitolo nemmeno quando il proprio lavoro ne è l’oggetto. Alla fine di un anno di negoziazioni infruttuose, accordi non rispettati e scontri perchè “qui si fa così e se non ti sta bene puoi andare via”, penso che almeno ad alcune delle colleghe sia arrivata un’idea diversa riguardo al rapporto con i/le volontari/e, rendendosi conto dell’importanza che ha per noi sentirci coinvolti e parte di un gruppo di lavoro, e non solo un’appendice esterna da “sfruttare”.

Riprendere le attività a contatto con le donne dopo il trasloco è stata la boccata di ossigeno che mi ha fatto decidere di non interrompere il servizio anticipatamente. La relazione con loro non è stata sempre facile, ma mi ha fatto vedere che continuava ad esserci un motivo nel mio stare li. Da queste donne straordinarie ho imparato moltissimo: la forza, la tenacia, non lasciarsi andare quando tutto sembra perduto, continuare a sorridere mentre ci si scontra con le difficoltà e le ingiustizie che la vita ci mette davanti. Ragazzine, bambine che si ritrovano a dover essere mamme contro la loro volontà, ragazze mie coetanee, donne più grandi, alcune che mi hanno consolata e stretta in un abbraccio materno e affettuoso in un momento di difficoltà. Alla fine questo eravamo: un gruppo davvero variegato di donne che lotta, insieme, nonostante le nostre differenze e divergenze, per cercare di costruire un mondo diverso, seppur nel piccolo. Non tutte erano consapevoli della propria forza, anche a causa della cultura fortemente machista dentro cui sono nate e cresciute, che le ha convinte che sole, senza un uomo, non valgono nulla. Però era straordinario vedere come ogni piccolo, minuscolo traguardo raggiunto, le facesse credere sempre più in loro stesse, e a me facesse credere che davvero le cose si possono cambiare, perchè è dal piccolo e dalla quotidianità che iniziano i cambiamenti grandi. Dalla straordinaria forza di queste donne voglio prendere esempio, e questo è forse l’insegnamento più grande che porto con me alla fine di quest’anno tanto difficile quanto ricco e pieno di sorprese.

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