Scrivo poco, forse perché molte cose le mando giù velocemente e non lascio spazio a riflessioni. Altre cose le metto da parte e le “biseziono” accuratamente fino ad arrivare al punto di assorbirle e digerirle quasi naturalmente. Ma l’altro giorno organizzando la cartella intitolata “Doc”, ritrovo un file word che avevo completamente dimenticato. Mi limito ora ad incollare il testo che qui segue….
Ormai i miei occhi si stanno abituando. Me ne rendo conto quando percorrendo il tragitto da casa all’asilo con “l’autobus”, quello che prima mi lasciava impressionata, ora inizia a diventare la normalità. Man mano che mi sposto dalla città alla periferia il paesaggio intorno cambia. Attraverso una rotonda grande, detta “dos Heroes”, poi un mercato chiamato “Xiquelene”, uno dei più grandi appena ci si allontana dal centro. Poi inizio a perdere i punti di riferimento. O così era in un primo momento. Supero la casa con la scritta Vodacom ingiallita, la strada in salita, la bancarella che vende solo scarpe, il benzinaio, insomma piano piano senza accorgermene, ne trovo degli altri. Chiamo la mia fermata (“Imaculada”) e scendo!
Sono ancora accompagnata da William, il mio collega di lavoro, per l’ingresso nel quartiere di Hulene “b”
La mia vita giornaliera così scandita si divide in due: durante la giornata ad Hulene, periferia della città a lavorare con i bimbi del quartiere, e di sera a Malhangalene, zona centrale di Maputo a trascorrere le ultime ore serali prima di cedere al sonno. Si dividono in due anche i miei bisogni, le mie necessità, il mio modo di vivere le dinamiche del luogo. Non è poi così scontato alloggiare nella città di “cemento”, fatta di palazzi, ristoranti, banche, cinema, centri culturali e commerciali, ovvero di tutte quelle comodità che per noi occidentali ormai sono ovvie e nel frattempo respirare l’aria della periferia, colorata, chiassosa, confusionaria, scomoda e apparentemente “spoglia”. Non è poi così scontato perché quei due mondi, collegati da lunghe “avenidas”, solo pochissime volte interagisco.
E’ una dualità di cui raramente ne ho coscienza, ma vien fuori spesso, ultimamente, durante le conversazioni con i miei coinquilini, i miei colleghi di lavoro e i miei conoscenti ed amici mozambicani “del centro città”.
E’ una dualità, se poi è la definizione corretta, che mi sta arricchendo e ne sono orgogliosa, soprattutto quando poi conosco espatriati che vivono a Maputo da 10 anni e non sanno che cosa sia Hulene.
Magari una nuova marca di banane??!!